Gli uomini del Ris, sulla base di chiari elementi, escludono il gesto volontario
Valentina Salamone, la maledetta sera del 24 luglio del 2010, non si suicidò, ma fu suicidata. Adesso c’è anche la conferma scientifica che emerge dalle dichiarazioni, al processo per la morte della 19enne biancavillese, degli uomini del Ris e che si evince dalla posizione della corda stretta al collo della ragazza, dal nodo al cappio, dalla presenza di sangue della vittima e del presunto assassino, del sangue di “ignoto 1” (maschio), dalla traiettoria degli schizzi di sangue. Tutti elementi che escludono la scelta volontaria di farla finita. Inoltre, secondo gli esperti del Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri, la scena del crimine sarebbe stata manomessa per simulare il suicidio.
Il processo è stato aggiornato, dalla Corte d’Assise, all’8 febbraio prossimo. Valentina Salamone, originaria di Biancavilla, venne rinvenuta cadavere nell’estate di 7 anni fa in una villetta della periferia di Adrano. Inizialmente archiviato come suicidio, il caso venne riaperto dalla Procura generale di Catania, che avocò a sé l’inchiesta confortata dalle perizie del Ris. Successivamente, i giudici chiesero e ottennero il giudizio per Nicola Mancuso, 32 anni sposato, padre di tre figli, già condannato in secondo grado a 14 anni di reclusione per associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga, nell’ambito dell’inchiesta “Binario morto”.
Alla luce dei nuovi sviluppi, il sindaco di Biancavilla Pippo Glorioso ha diramato una nota nella quale lancia un appello affinché «venga fatta luce sulla morte della giovane che ha profondamente scosso la comunità. Il mio pensiero – prosegue il primo cittadino – e l’abbraccio di tutti è per la famiglia Salamone ormai da tempo, con dignità, tenacia e fiducia nelle Istituzioni, papà Nino e la moglie Pina stanno portato avanti una battaglia per chiedere verità e giustizia per l’omicidio di Valentina, strappata alla vita in modo crudele».