L’uomo, un licodiese, era alla guida dello scooter utilizzato per freddare l’impiegato 43enne, ucciso per motivi passionali
Ogni tessera va ad incasellarsi nelle indagini sull’omicidio del 43enne adranita Maurizio Maccarrone, ucciso due anni fa davanti alla sua abitazione di Adrano per aver “osato” intrattenere una relazione con una donna che in passato era legata ad un malavitoso (RILEGGI L’ARRESTO). Oltre al mandante Antonio Magro, e all’assassino Massimo Merlo, la Polizia di Stato ha, infatti, arrestato anche il conducente dello scooter utilizzato per la missione di morte. Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, i poliziotti hanno stretto le manette ai polsi del pregiudicato licodiese Massimo Di Maria, 38 anni, noto col nomignolo “u pupiddu”, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 25 gennaio scorso dal Gip presso il Tribunale di Catania, in quanto ritenuto responsabile, in concorso con Antonio Magro e Massimo Merlo – già tratti in arresto – dei reati di omicidio aggravato nonché di detenzione e porto illegali di arma da fuoco. Di Maria era già agli arresti domiciliari dal gennaio 2015 per estorsione ai danni di un minore. Quando venne arrestato, nella sua abitazione i Carabinieri della Stazione di Santa Maria di Licodia rinvennero diversi proiettili calibro 9 e calibro 38.
Il 2 dicembre scorso, il personale della Squadra mobile e del Commissariato di Polizia di Adrano aveva già dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa nei confronti di Antonio Magro e Massimo Merlo, ritenuti responsabili, il primo quale mandante ed il secondo quale esecutore materiale, dell’omicidio dell’impiegato 43enne adranita Maurizio Maccarrone, avvenuto ad Adrano la mattina del 14 novembre 2014.
L’odierna misura cautelare consente di fare piena luce sull’efferato omicidio con l’individuazione di Di Maria quale componente del “commando di fuoco” come conducente dello scooter utilizzato per avvicinare la vittima, freddata da Merlo poco prima delle 7 di quel giorno all’uscita da casa in via Cassarà, con alcuni colpi d’arma da fuoco 7,65. Dopo una segnalazione al 113, il personale del Commissariato di Adrano e della Squadra Mobile, rinvenne il cadavere e 5 bossoli di quel calibro.
Da una prima ricostruzione del fatto, effettuata grazie alle immagini estrapolate da un impianto di video-sorveglianza installato nei presi del luogo dell’omicidio, venne appurato che Maccarrone, dopo essere uscito dall’abitazione e mentre si dirigeva verso la propria autovettura parcheggiata poco distante, venne affiancato da due individui, entrambi travisati da caschi, che viaggiavano a bordo di uno scooter. Con il mezzo in movimento il passeggero, Massimo Merlo, sparava alcuni colpi verso la vittima che si accasciava al suolo. Il killer, sceso dal mezzo, si avvicinava alla vittima ed esplodeva, a distanza ravvicinata, due colpi di “grazia” alla testa.
Da un’attenta visione del filmato emergeva che il conducente dello scooter era di bassa statura, tanto da avere difficoltà nel manovrare il mezzo nella concitate fasi del delitto, in specie quelle successive. Le investigazioni, orientate sin dalle prime battute sulla sfera personale di Maccarrone, facevano emergere il movente passionale del delitto. Il modus operandi dei killer ed il particolare dell’esplosione dei due colpi alla testa lasciavano, tuttavia, ritenere che i killer potessero operare nei contesti della locale criminalità organizzata.
A dare un impulso decisivo alle indagini sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco, esponente storico del clan adranita Scalisi, costituente locale articolazione della famiglia mafiosa Laudani, il quale ha raccontato che l’episodio sebbene riconducibile ad un movente passionale, maturato nell’ambito dei gruppi mafiosi operanti nell’area di Paternò, Adrano e Biancavilla, riconducibili ai Laudani, cosiddetti “Mussi ‘i ficurinia”. Individuato il ruolo di mandante nella figura di Magro e quello di esecutori materiali di Massimo Merlo e Massimo Di Maria, tutti operanti nell’area criminale dei Laudani, i primi due nell’ambito del gruppo mafioso Morabito-Rapisarda di Paternò mentre il terzo nel gruppo degli Scalisi di Adrano. Il movente era quello della gelosia che Magro provava nei confronti di Maccarrone, per una presunta relazione con una donna – già individuata dagli investigatori subito dopo l’omicidio – con la quale in passato Magro aveva avuto, a sua volta, una relazione, motivo per il quale impartiva l’ordine di eliminare il rivale.
Le prove raccolte fornivano ampi riscontri del ruolo di killer di Merlo, il quale, parlando con il suo interlocutore in merito all’omicidio, esclamava a voce bassa “…Ci i’ d’arreri …n’aricchi accussì… PUM – imitando un colpo d’arma da fuoco – ….e gridava…gridava … ittava vuci”.
Per quanto concerne, invece, la posizione di Di Maria, per il quale già dalle indagini sono emersi alcuni elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e dalla visione delle immagini si è rilevata pure una forte rassomiglianza antropometrica con il guidatore dello scooter (la bassa statura con conseguente guida maldestra), nel corso delle attività si registrava una conversazione nella quale Merlo, in ordine al coinvolgimento di Di Maria quale conducente del mezzo, diceva al suo interlocutore: “…Ma se quello non ci sale nel motorino da quando aveva undici anni… non ce la fa neanche a portarlo… ”.
Le indagini sono proseguite anche dopo l’esecuzione della misura cautelare nei confronti di Magro e Merlo, per acquisire ulteriori elementi di riscontro anche nei confronti del terzo responsabile del delitto. Infatti, nel corso di un colloquio intercettato in carcere, Merlo, dialogando con il fratello e riferendosi a Di Maria esclamava: “… Gli devi dire mio fratello a te ti ha sempre discolpato. Perché anche l’intercettazione che lui ha avuto, che lui dice chi è. Lui ti discolpa, ecco perché non ti hanno fatto il mandato di cattura a te (….). Quindi tu gli devi dire che al 99% tu ta scagghiasti (fonetico), grazie a mio fratello!”.
La conversazione si presenta risolutiva sul coinvolgimento di Di Maria, essendo Merlo consapevole di avere volutamente tentato di scagionare lo stesso, al punto che, per assicurare il silenzio, pretende somme di denaro, in modo tale da poter fare “la galera in pace”. La predetta conversazione, unitamente alle risultanze già emerse, quali i contatti telefonici, rilevati dai tabulati, tra Di Maria e Merlo il giorno dell’omicidio, la guida maldestra registrata dalle telecamere e le dichiarazioni del collaboratore hanno consentito agli investigatori di chiudere il cerchio sui soggetti coinvolti nell’omicidio di Maurizio Maccarrone.