Un antico altare sacrificale rupestre, in uno dei siti archeologici più misteriosi dell’area etnea, ci interroga su antichi popoli e riti arcani
Poco distante dal sito della città sicula di Adranon si trova la cosiddetta Valle delle Muse, uno dei siti archeologici più misteriosi e affascinanti dell’area etnea. Siamo precisamente in contrada Cannemasche, a circa tre chilometri in direzione nord-ovest dal centro di Adrano e a poca distanza dalla porta sud dell’area archeologica del Mendolito (si raggiunge dalla strada provinciale 94 Adrano Bronte, poco a valle del Ponte dei saraceni, svoltando verso il fiume – qui la geolocalizzazione). Qui il fiume Simeto forma una piccola ansa e scorre lentamente tra alti basalti colonnari. Al centro della piccola ansa un blocco di arenaria si impone per la sua mole e la sua forma, facendo da contrappunto ai neri basalti che gli stanno di fronte. La roccia sembra essere stata messa lì per un capriccio della natura. A strapiombo sul fiume, malgrado la sua forma tondeggiante e il suo colore brillante, a prima vista non desta particolare attenzione, poiché la scena è “rubata” dai basalti lavici e dalle acque del Simeto. Eppure il punto focale dell’area è proprio questa roccia, basta osservarla dal lato del dirupo sul fiume per notare alcune difformità.
Salendo sulla piccola rupe, dall’alto si osservano infatti delle cavità scolpite con perizia nella pietra, ecco il mistero della grande roccia della Valle delle Muse, un manufatto che pone una serie di interrogativi.
La struttura consiste principalmente in due vasche di medie dimensioni pressappoco quadrangolari e digradanti, scavate su due livelli diversi e collegate da un foro circolare, la seconda vasca, quella più bassa, presenta un altro foro circolare che sbocca direttamente nel precipizio sul fiume.
Ma chi costruì questa struttura e a che cosa serviva? Se non è più antica a realizzarla furono gli abitanti della città di Adranon, e il luogo era deputato a culti religiosi. Più precisamente il manufatto potrebbe essere un altare dove si svolgevano riti propiziatori riferibili a divinità locali. Ma a quale divinità si officiava? Forse allo stesso dio Adranos, dove nell’insediamento urbano poco distante sorgeva il tempio a esso dedicato, o forse l’altare era titolato ai Palici, la coppia di divinità oracolari ctonie sicule, figli di Zeus e della ninfa Talia (per altri generati invece dal dio Adranos) il cui maggiore tempio sorgeva presso il lago di Naftia vicino Mineo. Quest’ultima ipotesi va presa in considerazione se vogliamo identificare la Valle delle Muse con l’Ara dei Palici che, a detta di Virgilio nell’Eneide (libro IX, v.845), sorgeva sulle rive del Simeto.
LA VALLE DELLE MUSE (FOTO DI FRANCESCO GIORDANO)
Ma questi dati non bastano però a fornirci una risposta certa e definitiva, poiché le fonti storiche sono generiche e frammentarie. Gli elementi da prendere in maggiore considerazione sarebbero quelli archeologici; l’area di cui parliamo, genericamente quella del Mendolito, ha restituito numerosi reperti di grande interesse, riferibili al III millennio a.C., periodo in cui genti sicule e quindi greche vi si insediarono, ma sull’Altare in questione non ci forniscono risposte.
Ma l’Altare delle Muse ci interroga non solo sui culti relativi alla divinità per cui si officiavano i riti, ma anche sulla tipologia degli stessi. La posizione delle due vasche, a strapiombo sul fiume, lascia supporre che vi si sacrificassero animali il cui sangue, cadendo attraverso i fori ancora visibili nelle vasche, andava a mescolarsi con le acque del fiume, il quale scorrendo andava a rendere fertile la Valle del Simeto coi suoi vasti campi seminati a grano. Il culto, certamente propiziatorio, come detto prima, poteva quindi essere dedicato ai Palici, oppure allo stesso dio Adranos, anche se non vi è attinenza tra questa divinità del fuoco e della guerra e il fiume.
Forse, più verosimilmente, gli antichi sacerdoti offrivano il loro culto al Simeto, anch’esso considerato una divinità fluviale preposta a rendere fertile il suolo; al riguardo Ovidio, nelle Metamorfosi (XIII vv.879) ci informa che il Simeto era un fiume eroicizzato, compagno di Aci e venerato anche a Catania; ma anche quest’ultima rimane solo una delle ipotesi messe in campo.
È interessante notare come, attraverso la tradizione (più orale che scritta), la sacralità della Valle delle Muse è pervenuta attraverso i secoli anche nello stesso toponimo. Non sappiamo, però, perché la tradizione abbia tirato in ballo le muse (da non confondersi con le ninfe, potenze divine legate a corsi d’acqua e ai boschi), figure invece preposte alle arti, in un luogo dove invece si svolgevano rituali di sangue.
Ma se brancoliamo nel campo delle ipotesi, possiamo azzardarne un’altra, ovvero che qui si svolgevano riti di altra natura, più “spirituali” potremmo dire. La presenza di sorgenti d’acqua che ancora oggi confluiscono nella piccola valle (la “Pignataro” e “delle Favare”), potrebbero fare pensare a riti di purificazione dove l’acqua costituiva l’elemento centrale. Le due vasche della grande roccia potevano essere usate per bagni sacri: iniziatici, purificatori o finalizzati ad invocare ispirazione, e in questo caso sì che potrebbero riguardare le Muse.
D’altronde, nella Sicilia arcaica, una tipologia rituale più o meno simile non sarebbe una novità, basti pensare ai culti del Monte Kronio nell’agrigentino, a quello della dea Hybla presso le Salinelle di Paternò, del Pozzo della Sibilla Lilibetana nel trapanese, e specialmente a quello non meno misterioso del Bagno della Regina all’Acquasanta a Palermo. Questi riti si svolgevano presso fonti o in prossimità di particolari manifestazioni del suolo, dove l’acqua era considerata purificatrice e rigenerante: un elemento sacrale dal potente simbolismo, capace di unire spiritualmente la terra con il cielo, l’uomo alla divinità. È lo stesso principio che, libero da idolatrie, si perpetuerà nei secoli a venire col Cristianesimo attraverso l’acqua lustrale del rito battesimale.
Intanto, la Valle delle Muse e il suo Altare continuano a interrogarci sui loro misteri irrisolti, invitandoci a una maggiore comprensione di un frammento di storia della Sicilia che da qui è passata. Il luogo, malgrado le trasformazioni naturali e le manomissioni dell’uomo, dopo millenni conserva ancora il suo fascino ieratico, una sacralità resa ancora più viva dalla bellezza naturalistica, dove tra rocce e arbusti il Simeto continua a scorrere lento come il tempo che qui sembra essersi fermato.