È stata appena emessa dal presidente della Prima Corte d’Assise del Tribunale di Catania la sentenza di condanna in primo grado all’ergastolo nei confronti del barelliere adranita Davide Garofalo imputato per il processo denominato “Ambulanza della Morte”. Oltre alla pena massima, la Corte ha condannato Garofalo all’isolamento diurno per un anno e due mesi ed al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. Una pena molto più severa, dunque, rispetto a quella richiesta dal Pm titolare dell’indagine Andrea Bonomo che durante la requisitoria dello scorso mese di febbraio aveva chiesto 30 anni di carcere. La richiesta del Pm era nata escludendo alcune aggravanti come quella della crudeltà che non avrebbero fatto scattare l’ergastolo, ma con la sentenza di oggi la Corte ha invece riconosciuto altre aggravanti come quella del mezzo insidioso, l’aver approfittato di circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la difesa, l’aver commesso il reato con abuso di prestazione d’opera ed infine di aver commesso il fatto per agevolare le attività illecite dell’associazione mafiosa.
«A nome delle persone che rappresento, posso dire che c’è soddisfazione» ha detto l’avvocato Alfina D’Oca. «Ogni volta che i clienti venivano in studio a chiedere informazioni in riferimento a questa vicenda, qualcuno è sempre scoppiato in lacrime. Al di là che si potrebbe dire che erano persone anziane o in fin di vita, i familiari portano dietro un dolore molto profondo, perché hanno affidato la loro persona cara nelle mani di queste persone, fidandosi di loro. Per come è andato il processo ci aspettavamo una condanna, perché le consulenze medico legali non lasciavano dubbi in ordine alla responsabilità. Dal punto di vista giuridico ritengo che sarà una sentenza che farà giurisprudenza perché in ogni caso parliamo di condanna per omicidi che vengono provate con delle consulenze senza autopsia». Alle parti civili è stata riconosciuta anche una provvisionale nell’attesa della causa civile da poter impiantare dopo la sentenza definitiva. Anche in questo caso, la Corte ha riconosciuto delle somme molto più alte rispetto a quelle richieste.
Garofalo, ricordiamo, era stato arrestato dai Carabinieri della Compagnia di Paternò nel mese di dicembre 2017 con l’accusa di omicidio volontario ai danni di tre persone anziane e malate. Una vicenda, quella delle morti sospette per iniezione di aria nelle vene avvenute a bordo di un’ambulanza che operava attorno all’ospedale Maria Santissima Addolorata di Biancavilla, che fu portata alla luce grazie alla trasmissione Mediaset de “Le Iene” ed al coraggio di due fratelli Luca e Giuseppe Arena titolari di una agenzia funebre biancavillese, divenuti poi testimoni di giustizia per questa ed altre importanti operazioni delle forze dell’ordine legate alla mafia che opera tra Biancavilla ed Adrano. Oltre a Garofalo, è sotto processo con rito abbreviato anche un secondo complice, Agatino Scalisi, anch’egli di Adrano, accusato di un omicidio e per il quale è attesa la sentenza. In caso di condanna, Scalisi potrà però usufruire delle sconto di pena pari ad un terzo.
Particolari orrendi, quelli raccontati dai testimoni all’interno delle diverse puntate del format Mediaset dedicato a questa vicenda, che si consumavano sull’ambulanza di proprietà della stessa agenzia funebre che sarebbe stata “requisita” dalla mafia locale per portare avanti un vero e proprio “business plane” della morte che non aveva nulla di umano. Ambulanza degli orrori che stazionava spesso all’interno o in prossimità dell’ospedale Maria Santissima Addolorata di Biancavilla sotto gli occhi di tutti. Una spietatezza a tratti cinica, quella che i due avrebbero portato avanti per anni, nei confronti di chi aveva avuto la sfortuna di capitare su quella maledetta “portantina della morte”.
Un trasporto di un defunto, avrebbe infatti fruttato fino a 300 euro, anziché i classici 30-50 euro previsti per una normale dimissione. L’ordine, dunque, sarebbe stato solo uno, ovvero quello di “uccidere”. Una sorta di dolce morte che veniva praticata con 3, 4, 5 iniezioni di aria in vena nel tragitto tra l’ospedale e la casa del paziente, dove quest’ultimo arrivava privo di vita. E se qualche parente si chiedeva come fosse sopraggiunta la morte in pochi minuti, la risposta dei barellieri era sempre la stessa: “Ma non gliel’ha detto il dottore che era grave?”. Ma se le iniezioni di aria non fossero state sufficienti a far morire il paziente trasportato, i due avrebbero “finito” l’anziano soffocandolo con un cuscino fino a provocarne la morte.