Davide Garofalo si avvale della facoltà di non rispondere. Emergono particolari agghiaccianti dai verbali dell’inchiesta “ambulanza della morte” e i nomi degli altri due indagati
Si è avvalso della facoltà di non rispondere, il 42 enne adranita Davide Garofalo, durante l’interrogatorio di garanzia tenutosi all’interno del carcere di piazza Lanza, alla presenza del Giudice per le indagini preliminari Santino Mirabella e dell’avvocato difensore Turi Liotta. L’avvocato Liotta dovrà adesso decidere se presentare istanza al Tribunale del riesame, dopo aver attentamente vagliato tutta la documentazione accusatoria notificatagli oggi. Davide Garofalo, ricordiamo, è rinchiuso da qualche giorno all’interno del carcere catanese con accusa di triplice omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà, contestato attraverso l’inchiesta “Ambulanza della morte” portata avanti della Procura etnea . (rileggi l’articolo).
Gli episodi di morti sospette emerse a seguito di un servizio televisivo della trasmissione “Le Iene”, avvenute su un’ambulanza privata che operava nel comprensorio etneo di Adrano-Biancavilla, avevano fatto subito scattare le indagini della Procura di Catania, culminate negli scorsi giorni con il fermo del presunto colpevole. Azione di indagine resa possibile anche grazie alla presenza di un testimone che ha dichiarato di avere assistito alla morte indotta di una persona trasportata sull’ambulanza, a seguito di una iniezione di aria nel sistema sanguigno al fine di accelerare il decesso, che sopraggiungeva per embolia gassosa. Chi operava sull’ambulanza, in questo modo, incrementava il loro guadagno, svolgendo altresì il servizio di trasporto e di vestizione dei defunti, percependo un importo di circa 200-300 euro.
E nella giornata di oggi, in un articolo pubblicato dal quotidiano online “Livesicilia”, emergono non solo i nominativi degli altri due soggetti indagati – Agatino Salvatore S. e Marco D. – ad oggi non raggiunti da provvedimenti cautelari, ma anche di particolari agghiaccianti dei verbali in possesso agli inquirenti della procura catanese, che riportiamo qui di seguito, tratti da quell’articolo. “Dammeli tu 200 euro che non te lo ammazzo, allora, me li dai tu 200 euro?”. Era questo il prezzo da dover pagare per salvare quella vita di una persona per la quale la “mannaia” di Garofalo aveva deciso di abbattersi. A deporre davanti al Pubblico Ministero, anche il titolare della ditta di ambulanze private, che riporta quanto riferito da un dipendente della sua ditta. “Il Garofalo in ambulanza prese una siringa per iniettare aria, l’autista provò a fermarlo, ma il Garofalo gli disse: Allora me li dai tu 200 euro?. Poi iniettò comunque l’aria facendo morire la persona. I soldi, i 200 euro, rappresentavano il compenso per la vestizione del defunto”.
In un altro verbale, sempre il titolare racconta che avrebbe appreso direttamente da Garofalo “quanto fosse stato difficile farlo morire”, riferendosi al più giovane delle tre vittime accertate dalla procura. Continuando nell’esposizione, il titolare dice: “Ricordo che in più occasioni Garofalo mi diceva che lo stesso praticava le punture di aria senza specificare a chi le faceva, ma in un caso ricordo con certezza che nel 2015, quando morì durante il trasporto G.S. padre di un mio amico, lo stesso Garofalo mi disse espressamente che era stato duro a morire e aveva dovuto fargli più punture. Ricordo con certezza che l’autista mi disse e confermò che personalmente aveva visto il Garofalo effettuare la puntura d’aria”.
Presunte colpevolezze di Garofalo, si leggono anche nelle deposizioni di fronte ai magistrati, dell’autista del mezzo di soccorso. “È accaduto più volte che mentre io guidavo – si legge nel verbale – la persona trasportata moriva mentre Garofalo stava dietro e ciò sempre con le stesse modalità e con la bava alla bocca del deceduto, ma solo in alcuni casi ho visto personalmente il Garofalo fare la puntura di aria perché io guidavo e non potevo stare girato sempre”. Lo stesso autista si ribellò una volta nei confronti dell’ambulanziere in presenza del “padre di un caro amico” trasportato sull’ambulanza della morte: “mi ribellavo e chiedevo al Garofalo di non farlo, sentendomi rispondere ‘dammeli tu 200 euro che non lo ammazzo’, a detta risposta alzavo le spalle e dicevo che non avevo tale disponibilità di denaro”.
Sempre nell’articolo di “Livesicilia” attraverso il quale vengono citate parti del verbale choc, si legge la descrizione da parte del testimone, di tutte le procedure che portavano alla morte dei pazienti trasportati. “Per essere più preciso ricordo che l’avambraccio sinistro era scoperto fino al gomito… posso altresì riferire che prima di iniettare l’aria in vena, sia il Garofalo che Agatino S. abbassavano il lenzuolo, alzavano leggermente la manica del braccio dove vi era l’ago della flebo. Inoltre venivano sempre usati i guanti in lattice che insieme alla siringa venivano gettati nel contenitore apposito”. Conferme delle ricostruzioni giungono anche dalla testimonianza del figlio di uno delle vittime: “Appena l’ambulanza si è fermata sotto casa, ricordo nitidamente che, entrando all’interno dell’ambulanza notavo che la parte sinistra del corpo di mio padre era scoperta, mentre tutta la restante parte del corpo era coperta, per essere più preciso ricordo che l’avambraccio sinistra era scoperto fino al gomito”. Situazione analoga viene riportata anche dalla figlia di una donna, il cui caso è stato accertato all’interno delle indagini: “Ricordo che mia madre era salita a bordo dell’ambulanza con l’ago cannula in vena, del quale era sprovvista quando è salita in casa”.
Subito dopo il “trasporto della morte”, seguiva la “vestizione veloce del soggetto appena deceduto”. Sempre in riferimento al caso del 55enne – il più giovane tra le vittime accertate – la moglie spiega agli inquirenti che “Appresa la notizia – racconta la signora – mi dirigevo immediatamente a casa ove trovavo mio marito già all’interno dell’abitazione disteso sul letto e con due ragazzi già intenti alla vestizione”.
Una ritrattazione nelle dichiarazioni rilasciate ai magistrati è avvenuta, a seguito di un secondo interrogatorio, anche da parte del genero di un’anziana vittima, rispetto a quanto indicato durante il primo colloquio dove aveva dichiarato che la morte del suocero fosse avvenuta all’interno della propria abitazione. “Ero molto preoccupato di quanto mi stavate chiedendo e quindi ho riferito in modo sbagliato le modalità della morte di mio suocero, effettivamente salivo a bordo dell’ambulanza insieme ai barellieri e ci recavamo nell’abitazione di mio suocero. Arrivati sul posto io scendevo subito dal mezzo per salire a casa e sistemare il letto in cui dovevamo poggiare mio suocero e lasciavo sotto i due giovani e ricordo che mio suocero era ancora in vita. Dopo qualche minuto salirono i due ambulanzieri in casa con mio suocero e mi comunicavano che lo stesso era morto. Sbalordito chiesi cosa fosse successo e gli stessi mi risposero che non sapevano cosa dire”.