Ergastolo confermato. È questa la decisione presa dal presidente della terza sezione della Corte d’Assise di Appello del tribunale di Catania Elisabetta Messina – dopo l’avvio del secondo grado di giudizio dello scorso 7 febbraio 2022 – nei confronti dell’ambulanziere adranita Davide Garofalo, ritenuto colpevole dei reati relativi all’inchiesta sull’Ambulanza della Morte che operava nei dintorni dell’ospedale di Biancavilla. Con la sentenza di oggi, a mutare, è solamente il non riconoscimento di un’aggravante su uno dei tre omicidi commessi – relativa all’impiego di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso (art. 577 c.2 codice penale) – che di fatto gli ha permesso di beneficiare della riduzione della durata dell’isolamento a 11 mesi fissato invece in primo grado per un anno e 2 mesi.
A poco, dunque, sono valse le circa 40 pagine di memorie difensive presentate nel mese di ottobre 2021 dall’avvocato Turi Liotta, legale difensore di Garofalo. Passaggio d’obbligo, sarà adesso il ricorso alla Cassazione per sperare in un ribaltamento della sentenza. Tra i punti contestati dalla difesa – ricordiamo – c’erano in quell’occasione il mancato coinvolgimento di un consulente di parte durante un “esperimento giudiziale” condotto dai periti nominati della Corte d’Assise, la mancata acquisizione di una dichiarazione raccolta durante l’incidente probatorio, la mancata attendibilità di alcuni testimoni che avrebbero manifestato contraddizioni durante le dichiarazioni rese e l’assenza di prove dirette derivanti da un esame autoptico sui corpi dei soggetti deceduti ritenuti validi ai fini processuali, dovendosi basare esclusivamente su testimonianze e non su prove scientifiche.
Soddisfazione per la sentenza di oggi sia da parte delle famiglie delle vittime sia dagli avvocati Alfina D’Oca, Vincenzo Nicolosi, Grazia Ventura, Giuseppe Milazzo, Maurizio Di Bella, Pilar Castiglia, delle associazioni costituitesi Giuseppe Silluzio, dell’Asp di Catania Carmelo Calì e del comune di Biancavilla Riccardo Frisenna, che in questi anni hanno difeso i familiari delle vittime degli orrori perpetrati sull’ambulanza incriminata dove la morte di malati terminali veniva accelerata dall’iniezione in vena di aria con una siringa nel tragitto ospedale-casa.
Il processo relativo all’inchiesta “Ambulanza della morte” scaturì da alcune dichiarazioni rese da parte del testimone di giustizia Luca Arena che hanno permesso grazie anche al programma Mediaset “Le Iene” di scoperchiare un sistema di trasporti sanitari controllati dalla mafia locale che lucrava sul business del “caro estinto”. A condurre le indagini, furono poi i Carabinieri della Compagnia di Paternò su delega della Procura di Catania che portarono all’arresto di Garofalo e successivamente anche del “compagno” di morte Agatino Scalisi. Quest’ultimo, che aveva scelto il rito abbreviato, nel mese di novembre 2021 fu condannato in primo grado alla pena di 30 anni in quanto ritenuto responsabile di un omicidio commesso sull’ambulanza.
Riguardo a Garofalo, ricordiamo, la prima sezione della corte d’Assise catanese aveva inflitto una pena molto più severa rispetto a quella che era stata richiesta dal Pm titolare dell’indagine Andrea Bonomo che durante la requisitoria aveva chiesto 30 anni di carcere. La richiesta del Pm era nata escludendo alcune aggravanti come quella della crudeltà che non avrebbero fatto scattare l’ergastolo. Con la sentenza in primo grado, la Corte aveva invece riconosciuto altre aggravanti come quella del mezzo insidioso, l’aver approfittato di circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la difesa, l’aver commesso il reato con abuso di prestazione d’opera ed infine di aver commesso il fatto per agevolare le attività illecite dell’associazione mafiosa.