Il metodo educativo di Padre Brancato: fiducia incondizionata nei ragazzi. I ricordi di Alessandro Scaccianoce, ex-ragazzo cresciuto alla sua scuola
Ho avuto l’onore di essere stato tra i “ragazzi” dell’ultima generazione cresciuta da Padre Placido Brancato, storico parroco dell’Annunziata (per 48 anni!) e fondatore dell’oratorio “Don Bosco”. L’ultimo prete a sua volta cresciuto alla scuola di Padre Placido Caselli, fondatore del Piccolo Seminario di Biancavilla, che della passione educativa per i giovani aveva fatto il suo stile di vita. L’ultimo tra i preti d’altri tempi. Ha incentrato sull’oratorio la sua attività di pastore d’anime. Uno zelo vero per i ragazzi. Anche andando controcorrente, con una testardaggine spesso rinfacciata dai suoi collaboratori. Anche quando i risultati non si vedevano.
Il suo ministero è trascorso principalmente nella struttura da lui voluta e realizzata, dove era possibile trovarlo nei pomeriggi e nelle serate, in una stanzetta piccola, con una finestra che dava sul campo da gioco dei ragazzi. Lì passava le sere d’inverno, con una coperta sulle gambe, in un ambiente riscaldato solo da una stufetta elettrica. Quando chiudeva gli scuri della porta, sapevamo che era il momento in cui non si doveva disturbare: stava consumando la sua “verdura bollita” per cena.
Quando ci congedava, con una tenerezza inusuale per il suo carattere forte e a tratti severo, rispondendo al nostro saluto “Cristo Regni”, diceva: “Sempre! Carusiddi, santi e biniditti!”. Che era, come dire, “il compito per casa”.
Non aveva altri tempi per sé, non conosceva vacanze o divagazioni. La sua vita lavorativa è trascorsa dall’oratorio dell’Annunziata al Piccolo Seminario, un tragitto percorso a piedi quattro volte al giorno, qualche volta con un passaggio in macchina, da chi lo incontrava per strada.
I ricordi di quegli anni sarebbero tanti. Ma una cosa resta indelebile: il suo ostinato “pregiudizio positivo” per i ragazzi. Anche quando si facevano danni, si rompevano i vetri o si litigava: “i ragazzi non si toccano”, diceva. Qualcuno ricorda i famosi “papagni” o i suoi ceffoni, ma si tratta probabilmente della sua stagione giovanile. Ai miei tempi, era molto più “ammorbidito”.
Ci ha educati con il suo esempio, con la sua determinazione. Posso dire oggi che Padre Brancato ha creduto in me, ha creduto nei giovani. Aveva fiducia, ci lasciava fare, ed era sempre pronto a difenderci dalle lamentele dei più grandi, che non mancavano di far notare le nostre intemperanze o i nostri inevitabili sbagli.
Solo adesso capisco quanto sia importante per un ragazzino poter crescere sapendo e confidando in qualcuno che crede e ha fiducia in lui. Oggi ripenso a tanti suoi piccoli gesti e atteggiamenti, che rivedo con una luce nuova. Dedizione incondizionata e incrollabile fiducia nel buono che c’è nei giovani sono una pietra miliare delle più grandi teorie educative. Padre Brancato lo aveva capito molto tempo prima.
Con il venir meno delle energie fisiche, per il passare degli anni, Padre Brancato ha scelto di concentrare con intensità crescente le sue forze sull’oratorio, che ad un certo punto divenne la sua preoccupazione più grande, fino alla conclusione del suo ministero, al compimento del suo ottantesimo compleanno. Aveva forza e determinazione da far invidia ad un ragazzino: “chi sta coi giovani non invecchia” diceva. Pochi anni prima aveva dato vita ad un ennesimo grande progetto: l’oratorio estivo in contrada Vallone Rosso, alle vigne di Biancavilla.
Tuttavia, negli ultimi tempi l’oratorio non era più “quello di una volta”. Lo riconoscevano in tanti. Era frequentato da ragazzi anche violenti, bulletti, che non risparmiavano atti di vandalismo. Lui si rammaricava di questo. Soffriva molto, ma non demordeva. Riceveva forti lamentele dai vicini, per gli schiamazzi.
Si angustiava per le critiche di chi lo accusava di essere troppo accondiscendente; qualcuno gli suggeriva di aprire l’oratorio solo due volte a settimana, di regolamentarne l’ingresso, di espellere alcuni soggetti problematici, o addirittura di chiuderlo! La sua risposta era determinata: “Io faccio l’oratorio proprio per quelli che non vuole nessuno, e che non avrebbero nessun altro posto dove andare”.
L’oratorio è stato la sua passione e il suo tormento. Voleva vincere la sfida educativa proprio con i ragazzi più difficili. Per lui non esistevano casi impossibili. C’era del buono in ognuno e voleva fare di tutto perché quel buono potesse venire fuori: voleva farne a tutti i costi dei “buoni cristiani e onesti cittadini”, con un motto che era di Don Bosco.
Non saprei dire se c’è riuscito, sempre e in ogni caso. L’educazione è una sfida, e il risultato non è mai garantito. Lo sapeva bene. Ma era contento di vedere padri di famiglia che talvolta gli si accostavano ricordando un aneddoto o un episodio vissuto nell’oratorio.
A noi che crescevamo, assumendo incarichi di responsabilità nella parrocchia, ripeteva: “Non dimenticatevi dei giovani. Sono il futuro della società e della Chiesa!”. Lo stesso invito che ha ripetuto tante volte a sacerdoti e Vescovi. Un chiodo fisso, un pensiero assordante. Ma pieno di tanto amore e di tanta lungimiranza. Passione educativa pura. Zelo ardente per la salvezza. Un prete d’altri tempi. Un uomo dalla stoffa energica.
Oggi il peso e la fatica degli anni lo hanno limitato nei movimenti e nelle parole. Ma il “grazie” e un sorriso non mancano mai sulle sue labbra. Oggi, come allora, “Cristo regni, Padre Brancato”.