Il “Gran maestro” della massoneria, e promotore di due premi antimafia, avrebbe dirottato altrove 10 milioni di euro dell’Istituto “Lucia Mangano”. D’un lato premiava per l’impegno sociale e contro le organizzazioni criminali, dall’altro frequentava un mafioso di rango
Il già presidente dell’istituto medico psico-pedagogico “Lucia Mangano” di Sant’Agata li Battiati, Corrado Labisi, massone di rango, è stato arrestato nell’ambito dell’operazione della Procura della Repubblica di Catania denominata “Giano bifronte”, coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Fabio Regolo. Agli arresti domiciliari la moglie di Labisi, Maria Gallo (60 anni), la figlia Francesca (33), e due collaboratori: Gaetano Consiglio (39), e Giuseppe Cardì (57). Nei suoi confronti il Gip ha emesso un’ordinanza in carcere per associazione per delinquere e appropriazione indebita, in qualità di “capo, organizzatore e promotore” di una presunta frode.
Secondo l’accusa, Labisi avrebbe “gestito i fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri Enti per fini diversi dalle cure ai malati ospiti della Lucia Mangano, distraendo somme in cassa e facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito di oltre 10 milioni di euro”.
Ad eseguire l’operazione la Dia di Catania, diretta da Renato Panvino, supportato dai centri operativi di Palermo, Reggio Calabria, Caltanissetta e dalla sezione di Messina. Eseguite ispezioni in banche in cui sono accesi conti correnti della casa di cura per anziani per eseguire un sequestro preventivo per oltre 1,5 milioni di beni. Perquisizioni anche in uffici e in sedi in cui gli indagati hanno eletto il loro domicilio alla ricerca di documenti utili all’inchiesta.
“Dobbiamo capire a 360 gradi se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità… vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. Così Corrado Labisi, intercettato, parla con un amico, già appartenente al ministero della Difesa, all’indomani di una perquisizione eseguita dalla Dia, su delega della Procura, nell’istituto Lucia Mangano e nello studio del suo commercialista. In questa circostanza, sottolineano dalla Procura, “chiaro appare il riferimento alla struttura investigativa della Dia”, diretta da Renato Panvino, e “ai magistrati inquirenti che svolgono le indagini”, il procuratore Carmelo Zuccaro, l’aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Fabio Regolo.
Così come accertato nel corso di altre indagini, ricorda la Procura Distrettuale etnea, “Corrado Labisi ha mantenuto contatti con il pregiudicato Giorgio Cannizzaro, noto esponente della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano”. Labisi, osserva la Procura, era riuscito a “costruirsi una immagine modello di sé, tanto da indurre soggetti a lui legati a sostenerlo nelle sue iniziative, essendo considerato un paladino in difesa della legalità” e promotore di due premi antimafia, ‘‘Antonietta Labisi” e “Saetta-Livatino”, che hanno conferito riconoscimenti a uomini delle istituzioni, giornalisti, artisti.
Per il Gip, la personalità dell’indagato si pone come connotata da un rilevante tasso di pericolosità sociale: “da una parte le millantate amicizie importanti con apparati dello Stato o addirittura con i servizi segreti, dall’altra i rapporti di amicizia con mafiosi di grosso calibro, come Cannizzaro”, al quale, ricorda la Procura, “riserva un posto addirittura nelle prime file della chiesa dove si stanno celebrando i funerali della madre”. Una doppia personalità, secondo l’accusa, che ha denominato l’inchiesta “Giano bifronte”.
Da una perizia, del consulente dell’autorità giudiziaria, è emerso che Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi 1,3 milioni di euro e sua moglie 384.000 euro. Tra i soldi distratti, secondo la Procura, somme di denaro per pubblicizzare gli eventi da lui organizzati, per la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie e per il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici. Avrebbe inoltre sottratto soldi all’Istituto per la copertura di costi relativi all’organizzazione del premio, considerato un riconoscimento alla legalità nella lotta contro le mafie e anche per eventi relativi all’associazione “Antonietta Labisi”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minorenni e gli anziani nelle zone a rischio del capoluogo.
Così come emerso nel corso delle indagini, il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto “Lucia Mangano”, alla luce delle indebite sottrazione, riconosce la Procura di Catania “sarebbe stato di livello accettabile”, ma questo “soltanto grazie all’attività caritatevole del personale ivi preposto, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi. Infatti, così qualche dipendente in alcune testimonianze, rese note dalla Procura, afferma: “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo”.
Intanto, le associazioni d’Impegno Civico Antimafia per la Giustizia “Tecnopolis” e “Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino” di Canicattì, hanno diramato una nota stampa, nella quale esprimo gratitudine alla DDA e alla DIA di Catania per l’operazione “Giano bifronte” e lanciano un appello alle istituzioni affinché vadano a fondo su quel che è definito “pseudo comitato antimafia Livatino-Saetta-Costa”.
Di seguito la nota integrale.
Piena ed incondizionata Gratitudine e Stima esprimiamo nei confronti di quanti, Magistrati e Forze dell’Ordine di Catania, hanno lavorato alla realizzazione dell’operazione “Giano bifronte” di questa mattina che ha visto l’arresto di Corrado Labisi e dei suoi sodali, pur facendo salvo sempre il presupposto d’innocenza sino a condanna definitiva.
Non siamo, non siamo mai stati e mai lo saremo in seguito “giustizialisti” e non auguriamo il carcere ad alcuno ma è pur vero che ad una violazione di legge deve seguire anche una riparazione… soprattutto quando si strumentalizzano figure adamantine.
Da tempo le Associazioni denunciavano le stranezze intorno al sedicente e girovago “comitato antimafia” prima intitolato solo al Giudice Rosario Livatino e dopo le diffide del dottor Vincenzo Livatino e querele delle Associazioni, anche al Presidente Antonino Saetta e al Giudice Gaetano Costa per avere maggiore credibilità presso l’opinione pubblica e le Istituzioni, alcuni dei quali rappresentanti hanno continuato ad avere rapporti nonostante siano stati avvisati,ritirando anche un secondo ulteriore premio.
Nei due esposti-querela presentati da Vincenzo Gallo nel febbraio 2010 e nel maggio 2014 si denunciavano “stranezze” ed addirittura l’esistenza di una presunta cugina “Rosaria Livatino” (che così non si chiama) fatta entrare all’interno del carcere “Bicocca” di Catania per un’altra puntata del “premificio”. Tutto archiviato e senza controquerela da parte degli “animatori” del premio sui quali forse è opportuno approfondire le indagini proprio per il coinvolgimento della massoneria.
Questo comunicato non vuole essere un atto formale ma piuttosto un concreto atto di vicinanza che culmina nella richiesta da parte del primo sottoscrittore della presente di riprendere le querele presentate attraverso i carabinieri della Stazione di Canicattì (Agrigento) e di fare chiarezza su tutto e su tutti, facendo salva l’eventuale costituzione di parte civile in giudizio per i danni all’immagine dell’Associazione “Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino”.
Vincenzo Gallo
Riccardo La Vecchia
Valentina Garlandi