Nel provvedimento anche le società di raccolta rifiuti di Belpasso e Motta Sant’Anastasia
Nei giorni scorsi, il Tribunale di Catania – Ufficio Misure di Prevenzione – ha disposto la confisca di beni all’imprenditore Giuseppe Guglielmino, pregiudicato attualmente detenuto, vicino al clan mafioso del boss detenuto, in regime di 41bis, Turi Cappello. Si tratta di beni immobili, mobili registrati, società di capitali, imprese individuali e rapporti finanziari, intestati ai familiari più vicini e a terzi estranei, ma tutti riconducibili a Guglielmino. I beni confiscati erano stati già oggetto di sequestro eseguito dalla Questura di Catania nell’agosto 2017, in applicazione di una misura del Tribunale di prevenzione, frutto di un’attività investigativa condotta nel 2017 da un gruppo integrato di personale della Divisione Anticrimine e della Squadra Mobile che, il 15 maggio 2017, la sottopose al Questore di Catania.
La confisca ha riguardato:
la totalità delle quote ed intero patrimonio aziendale della società GEO AMBIENTE S.R.L., con sede legale in Belpasso (CT) e due sedi secondarie site nella provincia di Cosenza: Belvedere Marittimo (CS) e Sangineto (CS);
la totalità dei beni aziendali e strumentali dell’Impresa individuale CONSULTING BUSINESS DI Giuseppe Guglielmino, con sede legale in San Gregorio di Catania;
la totalità delle quote ed intero patrimonio aziendale della società CLEAN UP S.R.L., con sede legale in Motta Sant’Anastasia (CT);
la totalità delle quote ed intero patrimonio aziendale della società ECO LOGISTICA S.R.L. con sede legale in Aci Sant’Antonio (CT);
la totalità delle quote ed intero patrimonio aziendale della società ECO BUSINESS S.R.L., con sede in Siracusa, e sede secondaria a Belpasso (CT);
la totalità delle quote ed intero patrimonio aziendale della società WORK UNIFORM S.R.L., con sede legale Catania (CT).
Oltre al patrimonio aziendale, Guglielmino aveva investito anche in immobili, anch’essi passati nella piena proprietà dello Stato, essendo stati confiscate quattro unità immobiliari a Catania, due a Fiumefreddo di Sicilia (CT) e uno a Bronte (CT).
La cosca Cappello aveva a disposizione un nutrito e variegato parco veicolare, anch’esso confiscato: un’Audi S3 1.8 Turbo, due Daimler Chrysler, un’Alfa Romeo, una Mercedes, una Fiat Uno, due autocarri (Peugeot e Fiat), un autocarro Unic 190 e due Fiat 500
Il valore complessivo dei beni sequestrati, stimato in circa 12 milioni di euro, sarà, da adesso, gestito da un Amministratore Giudiziario.
Le indagini hanno delineato la figura di Guglielmino, imprenditore del settore ecologico, ritenuto soggetto socialmente pericoloso e abitualmente dedito a traffici illeciti, organico al clan “Cappello”, distintosi per la capacità di inserirsi in vari settori dell’economia, in specie nel delicato settore raccolta e trattamento dei rifiuti, con appalti in diversi comuni siciliani, nonché in territorio campano e calabro, ottenuti grazie all’appoggio del clan, che poteva a sua volta contare sull’interessamento delle “famiglie” alleate operanti in quei territori.
Inoltre, attraverso il reimpiego di denaro provento delle attività illecite, Giuseppe Guglielmino era attivo nell’acquisto di beni e nella costituzione di imprese commerciali a lui riconducibili e con ciò procurando maggiori arricchimenti illeciti al clan e a se stesso. Le aziende così create rappresentano un vero e proprio pericolo per l’economia del territorio su cui insistono, poiché rappresentano una minaccia per la corretta concorrenza di settore, escludendo i competitors col potere economico e con la diretta o indiretta intimidazione.
Inoltre, essendo principalmente finalizzate al reimpiego del denaro proveniente da traffici illeciti, l’interesse nel mantenimento delle aziende – e, quindi, dei livelli occupazionali che da essa derivano – è direttamente connesso all’attività criminale, rappresentando un aspetto altamente aleatorio per l’assetto economico e sociale del territorio su cui incidono. Sequestro e confisca sono frutto dell’osservazione, da parte degli inquirenti, della posizione di Guglielmino, che mostrava una sproporzione tra i redditi formalmente dichiarati e i beni acquisiti nel tempo, verificata anche la disponibilità diretta ed indiretta, nelle sue mani, dei beni confiscati.