Il successo e poi la malattia raccontati in “Crossroads”: « Non ho mollato, e la musica, da questo punto di vista, mi ha aiutato molto»
Negli anni ’80 e ’90, un gruppo di rock progressivo, i Malibran, muovendo i primi passi da Catania, si fece strada nel panorama musicale nazionale ottenendo successo e consensi di critica. Di quella band faceva parte, e ne continua a far parte in una formazione rivista, Giuseppe Scaravilli, oggi solo bassista, che, alcuni anni fa, a causa di una pancreatite, ha totalmente cambiato il suo modo di vivere. La malattia lo ha costretto a convivere con la sedia a rotelle, che spera di utilizzare sempre meno in futuro, e a rivoluzionare i suoi tempi. Il suo calvario, ma anche il movimento “progressive”, sono raccontati in un suo libro, Crossroads, disponibile su Amazon. Lo abbiamo incontrato e, rispondendo alle nostre domande, Giuseppe Scaravilli pone l’accento sulla sua incredibile esperienza dopo la malattia che lo ha segnato, ma lo ha reso più forte e più determinato. Dal successo dei Malibran, dagli albori nel 1987 ad oggi, un percorso costellato da grandi successi e dall’esperienza all’estero, fino a toccare l’America. Con uno stile rock progressive, elegante e raffinato, molto anni ’70, i Malibran hanno conquistato un vasto pubblico che tutt’oggi li ammira e li segue. Fra le pagine, Giuseppe racconta e si racconta, dalle difficoltà alla speranza di un nuovo inizio, che quasi come un miracolo gli ha permesso di ritornare più forte di prima.
D. I Malibran hanno alle spalle un lunga carriera costellata di successi, arricchita, inoltre, da esperienze all’estero. Cosa ti è rimasto di quel periodo d’oro?
R. In verità credo mi sia rimasto tutto, dal momento che siamo ancora attivi, e perché vivo il gruppo come qualcosa di unitario e continuo, senza salti temporali. Voglio dire, per me i Malibran sono quelli della formazione a sei elementi (1988-2001), a quattro (2002-2012) e a tre (quelli di oggi), perché la nostra musica, il nostro sound e il nostro modo di essere, come musicisti e come persone, non sono cambiati. Certo, rimane un po’ di nostalgia per quelli che furono i nostri tempi più esaltanti, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90: La novità dei primi dischi, i festival di Castelverde ’89, Roma ’90, Mondovì ’91, Altomonte ’94… Ma anche negli anni successivi abbiamo avuto altre belle soddisfazioni, come il concerto con il Banco del 1999 e quello in America del 2000. Chi l’avrebbe mai detto, all’inizio?
Giuseppe, com’è cambiata la tua vita oggi?
Direi che è cambiata molto. Il danno neurologico seguito all’emorragia interna, a sua volta conseguenza dell’operazione di pancreatite acuta, mi hanno costretto ad una vita diversa, dovendo fare i conti con un altro me stesso. Ne parlo sul mio libro “Crossroads” (disponibile su Amazon), anche se è un lavoro dedicato in gran parte ai gruppi rock e progressive degli anni ’70. E a qualche aneddoto riguardante i Malibran. Con lo stesso gruppo non sono più chitarrista, cantante e flautista, bensì bassista, dal momento che la mia nuova condizione mi rende più facile suonare questo strumento. Adesso comincio a sciogliermi, ad avere molti tremori in meno, a parlare meglio e a fare qualche passo. Ma sono comunque cinque anni che convivo con sedia a rotelle, somministrazioni giornaliere di pillole varie ed iniezioni di insulina ad ogni pasto. Ora, considerato il fatto che dovrò convivere a vita con tutto questo (spero sempre meno con la sedia a rotelle!), è chiaro che la mia vita cambia un bel po’. Soprattutto perché che non avevo mai sofferto di nulla, e che nessun campanello d’allarme mi aveva messo nelle condizioni di prevenire un tale disastro in tempo utile!
GALLERIA FOTO I MALIBRAN
La tua “nuova vita” è sicuramente una testimonianza di una rinascita che potrebbe essere di esempio a molti. Cosa diresti a coloro che, invece, hanno paura di ricominciare, a mettersi in gioco dopo un’ardua battaglia?
In effetti sono in molti a scrivermi che sono un guerriero ed un esempio da seguire per chi sarebbe indotto a lasciarsi prendere dallo sconforto. Io in realtà ho i miei alti e bassi, naturalmente, e non mi sarei mai aspettato tutti questi attestati di stima. Però è vero, non ho mollato, e la musica, da questo punto di vista, mi ha aiutato molto. Un neurologo, per esempio, aveva temuto che non sarei più riuscito a suonare, e invece le cose sono andate diversamente. È necessaria anche una grande forza di volontà, ma avere già delle grandi passioni aiuta molto. Il libro di cui sopra è stato definito un inno alla vita, e probabilmente è così. Anche i momenti più drammatici li descrivo con leggerezza, e anche con un filo di ironia.
Se dovessi pensare per un attimo a quel periodo difficile, c’è stato in particolare qualcuno che ti ha preso per mano e ti ha infuso coraggio?
Sicuramente i miei genitori, sempre presenti, prima nei lunghi mesi trascorsi all’ospedale, e poi a casa. Mio padre mi accompagna ogni giorno a fare fisioterapia, e pensa a tutto lui per quanto riguarda cura farmacologica e aspetti burocratici. Mia madre mi incoraggia sempre, ed è un profluvio di affetto nei miei confronti. Quando è successo il guaio, nel 2012, non avevo una famiglia mia o una compagna e così, non essendo ancora autonomo, ho davvero bisogno dei miei, come se fossi tornato indietro nel tempo. Ma, dal momento che ho rischiato seriamente, e per due volte, di non essere più qui, tanto vale pensare agli aspetti positivi e ai miglioramenti, anche notevoli, conseguiti in questi ultimi anni. Né dimentico la vicinanza di qualche vero amico. E dei compagni e delle compagne del liceo classico, di nuovo con me proprio a seguito di quanto è successo.
Qual è il messaggio che desideri donare attraverso il tuo libro?
Come dicevo, a parte la sezione dedicata alla musica, con il racconto della mia vicenda ospedaliera mi auguro di essere di aiuto e di stimolo per chiunque si trovi oggi in condizioni difficili. All’inizio, in verità, non mi proponevo di donare messaggi o di essere di esempio per nessuno. La scrittura era stata un modo liberatorio per esorcizzare quanto mi era successo, e dunque per sentirmi meglio . Poi, però, mi sono reso conto che quel messaggio di speranza e positività era implicito, c’era, e che stava toccando nel profondo anche chi aveva letto le prime bozze, prima ancora che si arrivasse alla pubblicazione del libro vero e proprio. Mi ha fatto davvero piacere, anche perché le cose belle che mi sono state dette e scritte hanno fatto bene anche al sottoscritto! Con un inaspettato effetto di dare e avere.
La musica è da sempre stata una parte fondamentale della tua vita: che progetti hai per il futuro?
Dal punto di vista della discografia, sta per uscire il nostro decimo disco, intitolato Live Anthology. Sono sempre io ad occuparmi di tutto, dai contenuti dei dischi alle grafiche degli stessi. Ma se non trovassi case discografiche ancora disposte a scommettere sul nome dei Malibran, tutto questo materiale rimarrebbe a casa mia, invece di trovare distribuzione a livello mondiale, per quanto si tratti di un genere musicale di nicchia. E questo è motivo di grande soddisfazione per me, dopo 30 anni di attività da parte della band. Altri progetti sono poi, semplicemente, i prossimi concerti che faremo, dopo l’ultimo del 19 aprile scorso. Mi spiace dover suonare seduto, ma la formazione in trio a me piace moltissimo: io, Jerry e mio fratello Alessio. E siamo assieme dal 1988, senza aver sostituito chi, nel corso degli anni, per vari motivi non è più parte della band. Eppure il nostro suono non è cambiato. Un altro miracolo, direi! Tra l’altro, fare musica propria ed essere così apprezzati, mentre, quasi, tutti gli altri suonano esclusivamente cover è, con tutto il rispetto per chiunque suoni, motivo di soddisfazione ancora maggiore!