Al “Rapisardi” di Paternò il presidente della Pontificia Accademia di Latinità, Ivano Dionigi, ha presentato il suo libro “Il presente non basta. La lezione del latino”
L’Aula magna del Liceo classico “Mario Rapisardi” di Paternò, teatro di un incontro sulla lingua Latina, con Ivano Dionigi, professore ordinario di Lingua e Letteratura Latina, presidente della Pontificia Accademia di Latinità, fondatore e direttore del Centro Studi “La permanenza del Classico” dell’Alma Mater Studiorum, all’Università di Bologna, di cui è stato rettore dal 2009 al 2015. Presentato il libro di Dionigi “Il presente non basta. La lezione del latino”, edito da Mondadori. Al tavolo dei relatori sedevano accanto a Dionigi, il primo cittadino Mauro Mangano, il moderatore dell’incontro, il giornalista Salvo Fallica, il dirigente scolastico, Egidio Pagano, i docenti Turi Nicosia e Maria Laudani, che assieme al collega Rosario Scalia hanno voluto, come opportunità formativa e umana, per gli studenti, l’incontro con questo grande intellettuale.
L’importanza di una lingua come il latino è stato il tema su cui si è dibattuto, la sua attualità, la classicità come divenire, non dunque, come ciò che è stato, ma come qualcosa che serve per costruire il presente e il futuro.
Nell’incipit del suo discorso Dionigi ha subito manifestato l’intenzione: «Di sgomberare il campo da due accuse: che è uno studio inutile e che è vecchio e superato. Il latino è utile alla vita ed è orientato al futuro». Con l’ausilio di questa lingua si possono comprendere dei principi cardine, che sono le linee direttrici del testo “Il presente non basta”: il primato della parola; la nobiltà della politica e il valore del tempo.
La parola e il suo potere, la capacità di trasformare la realtà, di avere due facce come una medaglia, e ancora la parola che unisce e salva. «Non usiamo parole ma vocaboli. Le parole migliori e significanti, vengono soppiantate da quelle ovvie, quelle che troviamo, no quelle che andiamo a cercare noi… Occorrerebbe una Pentecoste laica in cui ognuno parlando la propria lingua imparasse a capirsi. Noi siamo parola. La parola esige rispetto».
Il valore dell’impegno politico è racchiuso nella parola “res publica” che si contrappone alla “res privata” come riconoscimento al diritto e al consenso. «La virtus non è la virtù, ma il valore, l’impegno politico. Noi siamo chiamati a vivere in società, per Aristotele siamo destinati a questo… I migliori bisogna costringerli per la politica, secondo Platone. Guai ai volontari della politica! La comunità li individua, li sceglie e loro devono sacrificarsi. Uno che passa la vita per il bene comune, per gli altri, ha diritto al paradiso».
Si sofferma poi sulla questione della centralità del tempo: «Oggi con le nuove tecnologie siamo qui e dovunque, ma per quel che concerne il tempo il rischio è quello di essere provinciali. Il rischio è l’inferno dell’uguale. Tutto uguale. Tutto faccia e interfaccia. Ma il volto? Dov’è finito? La passione della diversità, dov’è finita? L’eros delle differenze? Dalla civiltà elettronica si declina solo il pronome io, in prima persona. Non siamo contro la tecnologia, ma contro il monoteismo digitale. Bisogna capire lo spazio e il tempo. Ci vorrà qualcuno che ricordi che l’umanità non è nata oggi. La tradizione è salvaguardia del futuro. Bisogna avere l’atteggiamento del Petrarca tenere lo sguardo avanti e dietro».