Premessa: Questo articolo con questa sua prima uscita, come altri che seguiranno anch’essi di solito divisi in puntate e facenti parte di un più ampio colloquio settimanale con i nostri lettori con i quali si cercherà in modo generico di occuparci di conoscenza, vuole unicamente essere un’esposizione semplice di ciò che ci dice la scienza moderna, nella fattispecie odierna, sui virus, affinché possiamo averne almeno una mera infarinatura complessiva.
Su una capocchia di spillo possono esserci un milione di batteri, sulla stessa capocchia ci possono stare centinaia di milioni di virus. I virus possono attaccare qualsiasi essere vivente, per renderlo una propria incubatrice fino anche a farlo ammalare e pure spegnerne la vita. Ci sono virus, detti batteriofaghi, che per replicarsi infettano anche i batteri uccidendoli. La scienza moderna dell’ultimo secolo e mezzo ma in particolare degli ultimi 50 anni, lo ha sempre saputo e riferito all’opinione pubblica e specialmente alla distratta Politica mondiale.
Forse adesso e, purtroppo, a partire dal 2020, lo si è diffusamente consapevolizzato dopo che un virus, il Sars-Cov-2 (la sindrome respiratoria acuta grave che causa si chiama COVID-19), viaggiando dentro gli umani, si è spostato in tutto il globo, diffondendosi ovunque, soprattutto nelle grandi città e causando una pandemia che ha provocato (dati OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità al 17 maggio) ad oggi 6.932.591 morti nel mondo di cui solo in Europa 2.238.980 morti, parallelamente provocando anche gravi ripercussioni depressive sull’economia socio-planetaria le cui variegate conseguenze, anche geo-politiche, sono ancora imprevedibili.
Le pandemie tra territori e da qualche secolo globali causate da virus (ci sono anche quelle provocate da batteri di cui ci occuperemo in altra occasione) ci sono sempre state. L’ultima massiva in ordine di tempo era stata la cosiddetta “Spagnola” del 1918 che provocò decine di milioni di morti.
Ancora oggi la scienza moderna non pare abbia ancora chiaro che genere di virus sia stato quello della “Spagnola”. All’epoca non si sapeva neanche cosa fosse quella malattia così oltremodo contagiosa e anche tanto mortale e la si riteneva una forma di influenza. Eravamo agli albori della medicina moderna, basta guardare cosa conteneva in quegli anni la cassetta di pronto soccorso di un medico che oggi scambieremmo per quella di falegname.
Sono state formulate diverse possibili spiegazioni per l’alto tasso di mortalità di questa pandemia. Alcune ricerche suggeriscono che la variante specifica del virus avesse una natura insolitamente aggressiva. Un gruppo di ricercatori, recuperando il virus dai corpi delle vittime congelate, ha scoperto che la trasfezione negli animali causava una rapida insufficienza respiratoria progressiva e la morte attraverso una risposta infiammatoria eccessiva del sistema immunitario dell’organismo. Il virus Sars-Cov-2, da quanto ci è stato esplicitato in questi anni presenterebbe delle analogie con quello della “Spagnola” di 100 anni addietro, addirittura questo coronavirus odierno è stato anch’esso scambiato, almeno inizialmente, per una influenza, persino da esperti di medicina.
In modo riassuntivo qui di seguito racconteremo i passaggi di quella pandemia di un secolo fa attraverso la sintesi di riporti degli storici.
La pandemia di influenza del 1918 si diffuse nelle grandi città degli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, causando dal 1918 al 1920 circa 20 milioni di vittime. Probabilmente una delle la peggiore catastrofe che il mondo abbia mai conosciuto. Morirono più persone che durante la prima guerra mondiale. Ma fu proprio la guerra che contribuì a diffondere il virus che altrimenti sarebbe rimasto isolato. Infatti, quando le truppe alleate, già contagiate, si incontrarono nel Nord della Francia per fornire le loro forze contro i nazisti del cosiddetto Secondo Reich (secondo impero: molto in sintesi quello fondato da Bismarck, primo ministro del Regno di Prussia, dopo la vittoriosa guerra con la Francia nel 1871 e caduto al termine della Prima Guerra mondiale) si scambiarono anche quel ceppo virale e così tutto ebbe inizio.
Il virus sarebbe comparso il 1° settembre negli Stati Uniti, dove si registrò un solo caso di influenza. Il 18 successivo dello stesso mese già si contavano più di 6000 casi. La velocità di contagio di quel virus si dimostrò impressionante. La sola India perse quasi il 4% della sua popolazione, l’Alaska nelle Isole del Pacifico l’8%. Il tasso di mortalità raggiunse il 20% dei contagiati. Per proteggersi si utilizzarono delle mascherine per la bocca fatte con strati di tessuto a cipolla. Purtroppo non immaginavano all’epoca di aver lasciato scoperto proprio uno dei principali passaggi attraverso cui influenza entra nel corpo, il naso.
In una lettera dal fronte di un soldato durante la guerra del 1918 si leggeva “Ora abbiamo una nuova malattia più pericolosa del vaiolo, è la febbre spagnola che in tre giorni o si vive o si muore, non suonano neanche le campane, in otto giorni sono morti più di cento”. I medici la identificavano come influenza, ma a differenza di altre, questa uccideva, devastava e spopolava.
L’ipotesi più accreditata dagli scienziati e che tutto sarebbe appunto iniziato negli Stati Uniti, sul luogo esatto ci sono diverse ipotesi, c’è chi lo individua nel Massachusetts, chi in una fattoria del Texas e altri nel Kansas. Sta di fatto che già nel gennaio del 1918, i medici rilevano i primi casi di quella che chiamarono all’inizio polmonite fulminante. Inizialmente le condizioni di isolamento delle fattorie permisero all’epidemia di restare contenuta in quei luoghi, ma fino a quando alcuni giovani, evidentemente contagiati, non vennero arruolati nell’esercito, poiché l’America nel frattempo era entrata in guerra contro la Germania. Negli ambienti affollati e promiscui, quali dormitori e mense, il virus dilagò. Nell’aprile di quell’anno, il contagio era già arrivato in 30 grandi città. Ma ormai l’imponente macchina da guerra americana si era messa in azione e migliaia di soldati con il virus in corpo si imbarcano. L’attenzione del mondo in quel periodo era però solo rivolta alle belligeranti offensive e controffensive, alle migliaia di uomini morti in battaglia, alle condizioni disperate dei soldati sul fronte italiano.
La malattia compare a primavera con una breve epidemia di carattere benigno, per poi scomparire nel mese di giugno con l’arrivo del caldo. È solo influenza si dirà. Si pensa che la causa sia stata il brodo di coltura delle trincee e le spaventose condizioni igieniche della vita al fronte.
Invece il virus sopravvive all’estate e di si ripresenta più forte e aggressivo, provocando gravissime complicazioni polmonari che causano migliaia di vittime. I Governi impongono la censura su ogni notizia allarmante.
Il Presidente del consiglio italiano, Emanuele Orlando, il 20 ottobre 1918 dichiarò che quella forma epidemica, altro non era che una normale influenza identica a quella che fu felicemente superata nel 1889-90. Nessun motivo quindi di particolare preoccupazione saranno solo i giornali e dipartimenti di sanità della Spagna neutrale, i primi a parlare del grave pericolo sanità. Da qui la notizia si sparge in Europa. Da qui il morbo prende per tutti rimarrà “l’influenza spagnola”. Pochi, pochissimi si rendono conto del grave pericolo.
Le licenze dei soldati e i rifornimenti logistici, consentirono l’avvicinamento e l’integrazione tra le linee del fronte e la sfera civile. L’aria infetta così si allargava e mieteva vittime. Bisognava intervenire, ma non si sapeva come effettuare il trasporto dei malati, poiché la malattia si diffondeva uccidendo anche gli autisti. il personale ferroviario, infermieristico, medico e così l’intero corpo sanitario, anche provato dalla guerra, arrivò al collasso. L’epidemia fece una strage nelle trincee. L’influenza della spagnola stravolse non soltanto i soldati che combattono nelle trincee ma anche la popolazione civile.
I medici aspettavano semplicemente il decorso della malattia. Non c’erano assolutamente farmaci efficaci. Nei verbali di autopsie effettuate tra il 1918 e 19 la diagnosi era influenza o di bronco polmonite emorragica. Da alcuni documenti del luglio 1919 si è visto che le terapie dell’epoca erano olio di ricino, aspirina e salicilato di sodio. Palliativi che al massimo potevano attenuare i sintomi iniziali. Per fortuna in questo 21° secolo, la medicina moderna e in particolare dal 1939 con l’invenzione del microscopio elettronico, ha in parte svelare il microscopico mondo dei virus. Ma come ci ripetono gli scienziati la guerra è solo all’inizio e mai abbassare la guardia.
Ripercorrendo, seppure in modo riassuntivo quegli anni, dovremmo oggi ringraziare la medicina del 21° secolo (per carità anch’essa con tutti i suoi variegati aspetti e incognite tipici del corrotto e complice mondo degli umani da migliorare con le buone o con le cattive) se non siamo stati a decine di milioni sterminati dal sars-covid-2. Ma non si deve abbassare la guardia, tanto più con la mini era calda in corso che potrebbe anche slatentizzare altri virus ancora sconosciuti.
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mi viene da ridere leggendo che nel 1918-20 ci fossero i nazisti, come si può dare qualunque credibilità a chi fa errori così grossolane.