Il 16 luglio 1831, nel mare fra Sciacca e Pantelleria emerse un’isola vulcanica per 65 metri che fu subito al centro di una contesta diplomatica, a cui la natura stessa mise fine
Tra il 22 e il 29 giugno del 1831, scosse di terremoto ed emanazioni di acido solforico annunciarono uno strano fenomeno nel mare tra Sciacca e Pantelleria. Una nuova isola stava nascendo! Il 16 luglio, da dove il mare aveva una profondità di 200 metri, emerse per 65 metri, e con una circonferenza di quasi quattro chilometri, un isolotto con un cratere che eruttava vapori e ceneri. Cessato il fenomeno di parossismo, l’isola veniva erosa e smantellata dalle onde. La sua storia si legò subito agli scontri diplomatici tra alcune nazioni europee, interessate alla sua posizione strategica nel Canale di Sicilia. Difatti, il 2 agosto del 1831 gli inglesi, già a Malta, mandarono il capitano Senhouse per piantare la bandiera britannica, e la battezzarono “Isola di Graham”. Ma da parte dei Borbone il capitano Gualguarnera tolta la bandiera inglese la sostituì con la propria, denominandola “Ferdinandea” in onore di Ferdinando I, re delle due Sicilie. Appresso giunsero anche i Francesi, ed il geologo Prevost le diede il nome di “Julie” dal mese in cui comparve.
La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto un peschereccio comandato da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola. Questa era sorta in una zona profonda 180 metri, sul banco detto «secca di mare» che fu poi chiamato “banco Graham”. La notizia sulla nascita della nuova isola si sparse quindi rapidamente; da Palermo fu inviata la corvetta Etna; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. Nel suo massimo sviluppo l’isola raggiunse il perimetro di 4800 metri. Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta. Nel mezzo vi era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive. Cessata l’eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina, e si trasformarono così in due laghetti dove l’acqua mandava vapore.
L’eccezionale fenomeno geologico fu osservato e studiato da numerosi scienziati fra cui i tedeschi Hoffinann e Schultz , gli inglesi Davy e Smyth, i francesi Jonville e Prévost. Fra gli italiani vi furono Domenico Scinà e Carlo Gemmellaro. All’isola furono dati sette nomi: Sciacca, Nertita, Corrao, Hotham, Giulia, Graham, Ferdinandea. La Società Reale e la Società di geologia di Londra adottarono il nome di Graham, uomo politico inglese che partecipò alle vicende della costituzione siciliana del 1812. Il 17 agosto 1831 Ferdinando II di Borbone, allora regnante su Napoli e Sicilia, con atto sovrano incluse l’isola nel proprio regno dandole il nome Ferdinandea. Il 29 settembre i francesi issarono la loro bandiera sulla parte più alta dell’isola. Intanto la nuova isola, flagellata dalle onde, diminuiva progressivamente; quando la visitò Prévost il suo perimetro era ridotto a 700 metri. Verso la fine di ottobre l’isola emergeva di circa un metro dal livello del mare ed il cratere era appena riconoscibile. L’8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell’isola trovò una piccola colonna di acqua calda «con puzza di bitume».
Il 17 dicembre due ufficiali dell’Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l’isola era stata coperta dal mare. Ma, il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine. Oggi l’isola che non c’è’ sta lì, sotto il Canale di Sicilia. Ancora oggi dal porto di Sciacca salpano spedizioni scientifiche per il recupero dei campioni di roccia dalla sommersa “Isola Ferdinandea”: il ‘cocuzzolo’ si trova ad appena otto metri sotto il livello del mare. Nel tempo l’isola dei sette nomi ha ispirato studiosi, scrittori, poeti e pittori di tutta Europa. Fu studiata dal geologo Carlo Gemellaro, descritta da Alexandre Dumas, nel suo “Viaggio in Sicilia” e, in tempi più recenti, e’ stata protagonista del romanzo “Un filo di fumo” di Andrea Camilleri. Alcuni pittori dell’800 hanno inoltre lasciato le uniche testimonianze visive della sua attività vulcanica. Intanto, qualche anno fa, insieme al tricolore italiano, è stata posta una lapide marmorea sul fondo marino. In essa sta scritto: “l’Isola Ferdinandea appartiene al Popolo siciliano!”.