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Home » Cronaca » Operazione “Gisella”: arrestati 26 presunti esponenti del clan “Nicotra” di Misterbianco

Operazione “Gisella”: arrestati 26 presunti esponenti del clan “Nicotra” di Misterbianco

redazione Di redazione
30 Aprile 2019
in Cronaca, Misterbianco
Tempo di lettura:7 mins read
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Ventisei arresti fra Catania e Reggio Calabria: fatta luce anche sull’omicidio del consigliere comunale misterbianchese della DC Paolo Arena

Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Catania, duecento Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, supportati dai reparti specializzati (Squadrone Eliportato Cacciatori, Compagnia di Intervento Operativo del XII Battaglione “Sicilia” e Nucleo Elicotteri), hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Catania nelle province di Catania e Reggio Calabria su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 26 persone, affiliate al clan Nicotra, inteso i “tuppi”, il cui capo storico, Mario Nicotra – che aveva l’abitudine di raccogliere i capelli in un codino e per questo venne chiamato col nomignolo di “Mario u tuppu” –, venne eliminato nel 1989 dal clan rivale del “malpassotu”.

L’operazione è stata denominata “Gisella”. La cosca, confederata alla famiglia mafiosa dei Mazzei, storicamente affiliata a “Cosa Nostra”, opera nei Comuni di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia. Contestati, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione in concorso, furto, ricettazione e riciclaggio in concorso, detenzione e porto illegale di arma clandestina, trasferimento fraudolento di valori e corruzione, con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini, inoltre, hanno consentito di fare luce su uno degli omicidi risalenti alla guerra di mafia che, negli anni ‘80 e ’90, ha visto contrapposti lo stesso gruppo dei “Tuppi” con il gruppo del “Malpassotu”.

In particolare sono emersi elementi di prova sulla responsabilità di alcuni degli arrestati per l’omicidio dell’allora consigliere comunale misterbianchese della Democrazia Cristiana, Paolo Arena, ammazzato in pieno centro a Misterbianco con colpi di fucile esplosi da distanza ravvicinata il 28 settembre del 1991. Ad autoaccusarsi dell’omicidio, il pentito Luciano Cavallaro. L’ordinanza ha pure disposto il sequestro di conti correnti, beni immobili e attività commerciali per un valore complessivo di oltre un milione e mezzo di euro.. Fra gli arrestati c’è anche un carabiniere, Gianfranco Carpino, in forza alla Stazione di Motta, considerato confidente del clan.

GLI ARRESTATI

Giuseppe Piro, 28 anni (già detenuto);
Domenico Agosta, 33 anni;
Emanuele Agosta, 29 anni;
Giuseppe Avellino, 55 anni;
Filippo Buzza, 45 anni;
Rosario Salvatore Cantali, 46 anni;
Gianfranco Carpino, 51 anni;
Luca Destro, 37 anni;
Vincenzo Di Pasquale, 52 anni;
Daniele Distefano, 35 anni;
Filippo Distefano, 42 anni;
Carmelo Guglielmino, 41 anni;
Gaetano Indelicato, 32 anni;
Alfio La Spina, 37 anni;
Carlo Marchese, 47 anni;
Saverio Monteleone, 37 anni;
Daniele Musarra Amato, 49 anni;
Tony Nicotra, 53 anni;
Gaetano Nicotra, 40 anni;
Gaetano Nicotra, 58 anni;
Lucia Palmeri, 50 anni;
Emanuele Parisi, 30 anni;
Antonino Rivilli, 48 anni;
Giovanni Sapuppo, 39 anni;
Francesco Spampinato, 42 anni.

Giuseppe Piro
Giuseppe Piro
Lucia Palmeri
Lucia Palmeri
Gaetano Nicotra
Gaetano Nicotra
Antonino Navarria
Antonino Navarria
Saverio Monteleone
Saverio Monteleone
Alfio La Spina
Alfio La Spina
Carmelo Guglielmino
Carmelo Guglielmino
Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Luca Destro
Luca Destro
Filippo Buzza
Filippo Buzza
Emanuele Agosta
Emanuele Agosta
Francesco Spampinato
Francesco Spampinato
Antonino Rivilli
Antonino Rivilli
Gaetano Nicotra
Gaetano Nicotra
Emanuele Parisi
Emanuele Parisi
Antonio Nicotra
Antonio Nicotra
Daniele Musarra Amato
Daniele Musarra Amato
Carlo Marchese
Carlo Marchese
Gaetano Indelicato
Gaetano Indelicato
Filippo Distefano
Filippo Distefano
Vincenzo Dipasquale
Vincenzo Dipasquale
Rosario Cantali
Rosario Cantali
Giuseppe Avellino
Giuseppe Avellino
Domenico Agosta
Domenico Agosta
Giovanni Sapuppo
Giovanni Sapuppo

L’INDAGINE “GISELLA” Il provvedimento nasce dalle dichiarazioni del collaboratore Luciano Cavallaro, esponente storico  del gruppo mafioso dei ‘Tuppi’, già fortemente radicato sul territorio di Misterbianco a partire dagli anni ’80 (periodo nel quale era affiliato alla famiglia mafiosa dei ‘Cursoti’) e particolarmente attivo nella gestione delle illecite attività, che poneva in essere in contrapposizione con il gruppo  del ‘Malpassotu’, costituente la locale articolazione della famiglia Santapaola, facente capo a Pulvirenti Giuseppe. Da tale contrapposizione sul finire degli anni Ottanta scaturì un conflitto, finalizzato al controllo del territorio, che vide soccombere il gruppo facente capo a Mario Nicotra, inteso “Mario u tuppu” (dalla particolare acconciatura “a chignon”) ucciso il 16 maggio 1989, motivo per il quale gli esponenti dei Tuppi furono costretti ad emigrare in Toscana.

La cruenta guerra tra i due gruppi ed i numerosi omicidi che ne scaturirono sono documentati  dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori provenienti dal clan del ‘Malpassotu’ e dalle conseguenti sentenze già emesse nei confronti della citata famiglia mafiosa avversaria. Al fine di riscontrare le dichiarazioni del collaboratore Luciano Cavallaro, su delega della Procura Distrettuale, veniva avviata un’indagine condotta – dal febbraio 2016 al mese di aprile 2018 – dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Catania e dall’Aliquota Carabinieri di questa Sezione di P.G., mediante attività tecniche e dinamiche, che riscontrava l’attuale operatività della famiglia mafiosa dei ‘Tuppi’ che, rientrata a Misterbianco dopo che il clan ‘Malpassotu’ era stato debellato dalle numerose iniziative giudiziarie, alleatasi con la famiglia dei ‘Mazzei’, è rimasta ad operare sul territorio di Misterbianco.

Le indagini hanno consentito di ricostruire l’attuale organigramma del sodalizio criminale dei Tuppi  che vede al vertice l’anziano e carismatico Gaetano Nicotra, detto “zio Tano”, fratello di Mario Nicotra, il quale è coadiuvato, nella gestione degli affari e nel governo dei singoli affiliati, dal fidatissimo Antonino Rivilli. Anche il nipote Tony Nicotra, ritornato in libertà dal 17 febbraio 2017, riprendeva il controllo della cosca e si avvaleva della “collaborazione” del giovane fratellastro Gaetano Nicotra, del ”figlioccio’, Carmelo Guglielmino, sempre attivamente impegnato a “sbrigare” le “beghe sul campo” e di Daniele Musarra Amato. Alle strette dipendenze di Rivilli e di Tony Nicotra opera, poi, il “gruppo di Motta Sant’Anastasia”, capitanato da Daniele Distefano, inteso “Minnitta”, il quale, a sua volta, si avvale dell’opera del fratello, Filippo  Distefano, e dei “soldati”, Filippo Buzza, Domenico Agosta, Gaetano Indelicato, Francesco Spampinato e Giuseppe Piro.

Le prove acquisite hanno consentito di contestare, per la prima volta, al gruppo dei Nicotra i reati di associazione mafiosa ed altri reati fine, tra i quali l’omicidio di Paolo Arena, anche ai capi ed affiliati del gruppo dei ‘Tuppi’ che, a causa dell’allontanamento in Toscana, finora non era stato sottoposto a procedimenti per mafia per i fatti riguardanti Misterbianco. Le dichiarazioni di Luciano Cavallaro, inoltre, risultano riscontrate anche su uno degli omicidi risalenti alla citata guerra di mafia, in particolare sono emersi elementi di prova sulla responsabilità di Gaetano Nicotra, in qualità di mandante nell’omicidio consumato in data 28 settembre 1991, in Misterbianco, ai danni del consigliere comunale Paolo Arena, esponente di spicco della Democrazia Cristiana etnea, che veniva assassinato con colpi di fucile esplosi da due sicari rimasti ignoti.

Le indagini avevano portato a ritenere che il fatto di sangue potesse essere legato ad ingerenze criminali negli affari politici ed economici del Comune di Misterbianco. Proprio in relazione alla carica politica ricoperta, Paolo Arena aveva intrattenuto relazioni illecite e continuative con Mario Nicotra e, dopo l’omicidio dello stesso per mano del clan Pulvirenti (“malpassoti”), aveva allacciato rapporti affaristici con quest’ultimo gruppo. L’appoggio garantito da Arena al clan Pulvirenti era stato vissuto dai restanti appartenenti al clan Nicotra come un vero e proprio tradimento da sanzionare con la morte del politico. L’ipotesi investigativa dell’epoca è stata confermata quindi dall’esame delle dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia e dall’analisi di atti di procedimenti instaurati in Toscana nei confronti degli esponenti apicali dei “tuppi” durante la loro permanenza in quell’area.

Il nome “Gisella” dato all’indagine è il nome in codice utilizzato nei colloqui telefonici dai giovani sodali che costituiscono il gruppo di “Motta”,  per indicare il “capo”, ossia Antonino Rivilli. Le indagini attestano, infatti, che l’operato del gruppo di Motta è tutt’altro che avulso dal contesto mafioso dei Nicotra i quali intervengono per ‘sistemare’ situazioni sconvenienti scaturenti dalle illecite attività degli affiliati, dando loro disposizioni, che i componenti del gruppo sono tenuti a rispettare, sicché anche i dettagli delle illecite azioni sono sempre oggetto di attenzione da parte del gruppo di “comando”.

Attività preminente del gruppo di Motta, come detto capeggiato da Daniele Distefano, è quella dei furti di veicoli agricoli perpetrati in danno di aziende ubicate nelle provincie di Catania ed Enna, furti finalizzati a richieste estorsive avanzate nei confronti degli interessati per la restituzione dei mezzi. Trascorsi tre giorni senza che qualcuno avesse fatto richiesta di restituzione del mezzo, si procedeva alla vendita del veicolo mediante intermediazione di soggetti incaricati da Daniele Distefano o dal suo “braccio destro” Filippo Buzza, dove uno dei due interpellava telefonicamente i mediatori utilizzando una terminologia allusiva e trasmettendo, tramite l’applicazione “Whatsapp”, le fotografie scattate ai mezzi per potenziali acquirenti. Venivano utilizzate sim card intestate a soggetti extracomunitari e/o dell’Est europeo mediante il c.d. metodo “citofonico”, per effettuare conversazioni “dedicate”.

Il 31 marzo 2017, l’attività investigativa consentiva di rinvenire e sequestrare una pistola calibro 9 corto a salve – modificata in arma comune da sparo – con relativo munizionamento, nel corso di una perquisizione domiciliare effettuata presso l’abitazione del pregiudicato Sebastiano Sozzi, alias “Davide”. Il sequestro era preceduto dall’ascolto di numerose conversazioni sulle utenze in uso a Filippo Buzza, Daniele Distefano e dello stesso Sebastiano Sozzi, dalle quali emergeva che quest’ultimo aveva commissionato l’arma ai due affiliati dell’organizzazione dei Nicotra.

La forte presenza sul territorio è riscontrata anche dall’infiltrazione del sodalizio nelle istituzioni: le indagini attestano infatti che il gruppo veniva agevolato da un militare, effettivo alla locale Stazione Carabinieri di Motta Sant’Anastasia (anch’egli destinatario di misura cautelare detentiva), il quale forniva informazioni sulle attività del proprio ufficio, orientando il gruppo nella programmazione dei reati. In particolare, il militare, dal mese di gennaio al mese di aprile 2017, in cambio di utilità economiche, riferiva a due affiliati informazioni riservate (rivelazione dell’identità dei confidenti nonché modalità su come sottrarsi alle attività di controllo). Il predetto è stato indagato per corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, con l’aggravante di favorire e agevolare il citato sodalizio mafioso.

Le indagini hanno documentato come i componenti del sodalizio siano molto attivi nel rilevare attività economiche riconducibili a terzi che hanno maturato debiti nei loro confronti come: la macelleria di Piano Tavola il cui gestore era sottoposto ad usura ed estorsione, motivo per il quale era fuggito a Malta e il Night Red Lips, un locale di intrattenimento, mascherato da associazione culturale. Gli accertamenti patrimoniali svolti nei confronti di Antonino Rivilli, Domenico Agosta e Carmelo Guglielmino hanno consentito di accertare la sproporzione tra le capacità reddituali ufficialmente dichiarate dagli indagati ed il valore dei beni rientranti nei rispettivi patrimoni tale da fare ritenere pienamente operativa la presunzione della illecita provenienza degli stessi.

Sottoposti a sequestro  preventivo beni mobili ed immobili per un valore complessivo di  oltre un milione e mezzo di euro. In particolare, a Rivilli una villa ed un terreno siti nel comune di Belpasso, ad Agosta due imprese individuali a Belpasso ed un’associazione culturale a Motta S. Anastasia e Guglielmino un’abitazione, un magazzino, una bottega a Misterbianco e un terreno a Belpasso. Nei confronti dei tre indagati si è provveduto anche al sequestro preventivo di numerosi rapporti finanziari ed assicurativi.

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