Eccezionale scoperta dopo un sopralluogo nella matrice di Paternò da parte di esperti d’arte e componenti della commissione Cultura. Don Salvatore Patanè: «Occasione eccezionale per la crescita culturale e turistica»

La “Madonna del Riparo” il grande dipinto che si trova nella chiesa di Santa Maria dell’Alto di Paternò, è stato attribuito a Sofonisba Anguissola, la celebre artista cremonese che visse a Paternò tra il 1573 e il 1579 in quanto sposa di don Fabrizio Moncada, e che prima della sua partenza dalla cittadina etnea lasciò la sua celebre “Madonna dell’Itria” ai Francescani Conventuali. L’attribuzione è stata fatta alla fine dello scorso mese di agosto da un’equipe di esperti autorizzati dal prevosto parroco don Salvatore Patanè durante un sopralluogo alla Matrice.
Tra essi vi erano l’arch. Benedetto Caruso e la dott.ssa Roberta Carchiolo della Soprintendenza per i Beni culturali di Catania, il prof. Mario Marrubbi, conservatore del Museo civico “Ala Ponzone” di Cremona, il restauratore prof. Mario Cretti, il critico d’arte Alfredo Nicotra e alcuni componenti della Commissione Cultura della Chiesa di Santa Maria dell’Alto i quali si erano recati nella chiesa per osservare altre opere; qui, di fronte al quadro della “Madonna del Riparo” la sorpresa ha lasciato spazio all’osservazione dell’opera e quindi all’unanime attribuzione come un autografo incompiuto dell’Anguissola.
Questa attribuzione – che rendiamo pubblica ad alcuni mesi di distanza per motivi di sicurezza – non solo getta nuova luce sul percorso artistico dell’artista, segnandone una tappa importante in quanto fase cruciale tra la pittura giovanile e quella della maturità, ma arricchisce ulteriormente il patrimonio artistico di Paternò, che adesso può vantare il possesso di ben due opere di Sofonisba. Si tratta dunque di un’attribuzione eclatante di un dipinto poco conosciuto, malgrado sia sempre stato sotto gli occhi di tutti.
Al riguardo nel 2005 e successivamente nel 2018, avevo già parlato di quest’opera in due articoli (pubblicati sulla Gazzetta dell’Etna e su Yvii24 rileggi l’articolo) per portarla alla conoscenza della collettività, evidenziandone l’importanza e individuandone le caratteristiche principali, ovvero la lettura della composizione iconografica, la doppia mano nell’esecuzione e l’incompiutezza, nonché per sollecitarne un restauro serio per riportare il dipinto allo stato originario eliminando le parti aggiunte successivamente.
Il grande quadro stette quindi nella Chiesa Madre per quasi due secoli; dopo, dagli anni settanta del Novecento fino al 2010 il dipinto si conservò nella sacrestia della chiesa dell’Annunziata del Monastero delle Benedettine, per essere infine ricollocato nella matrice dopo avere subito un parziale restauro. Per una maggiore esattezza storica, la corretta denominazione del dipinto non sarebbe “Madonna del Riparo”, successiva e di derivazione popolare, ma “Madonna della Raccomandata”, titolo della stessa chiesa di provenienza.
Il grande dipinto su tela misura 320 x 160 cm, fu eseguito a tempera magra e olio e reca alla base la data 7 ottobre 1584. L’impianto iconografico della rappresentazione ha un’impostazione d’impronta tardo medievale: la grande figura centrale della Vergine che domina la scena appare incompiuta e in alcune parti grossolanamente manomessa, mentre le figure secondarie, poste nel registro inferiore, presentano influenze di scuola spagnola; nel registro superiore i due angeli reggicorona, data la loro qualità, tradiscono una mano particolarmente perita.

Oltre la figura della Vergine l’intero dipinto ha subito dei rimaneggiamenti, con molta probabilità fu un artista locale a “completare” il quadro, lo stesso anonimo che vi appose la data. La doppia mano con la conseguente diversa esecuzione qualitativa delle parti del dipinto è evidente anche all’occhio meno esperto; questa ipotesi, che in realtà è ben più di una ipotesi, è suffragata da variazioni stilistiche e tecniche: valgano come esempio le discordi varietà e sfumature cromatiche, nonché il disegno più ricercato e dettagliato nelle piccole figure poste sotto il manto della Vergine rispetto all’essenziale linearità della figura della stessa.
Ulteriore prova di una seconda mano esecutiva è data da tracce di un prato dipinto precedentemente con colori molto chiari, e visibile nell’estrema porzione inferiore della tela. Probabilmente questa parte del dipinto si è conservata poiché coperta da una cornice che all’atto del rimaneggiamento non fu smontata.
Come nei suoi celebri modelli di riferimento tra cui spicca il “Polittico della Misericordia” di Piero della Francesca del 1444-64, anche la “Madonna del Riparo” di Paternò o, se si preferisce, “Madonna della Raccomandata” o “della Misericordia” (quest’ultima è la denominazione comune a tutte le opere analoghe), è rappresentata in posizione eretta e frontale; impassibile e solenne nella simmetria (non perfetta) dell’ampio gesto (un po’ impacciato) di sollevare il pesante mantello sotto cui trova protezione, come in una grande cupola, una numerosa schiera di figure: notabili, sia religiosi che laici; una moltitudine in abiti sontuosi o elegantemente sobri.
Tutti in proporzioni ridotte e colti con taglio diverso: chi in ginocchio e chi in piedi, chi sembra meditare e chi osserva il proprio vicino, di fronte, di profilo o di scorcio. Giovani e anziani, in molti hanno lo sguardo rivolto al volto della Vergine, per contemplarla o per chiederle una grazia, mentre lei getta il suo sguardo fuori dalla scena del quadro, verso l’osservatore più o meno devoto. Siamo di fronte a un’opera devozionale, e se la parte superiore del quadro suggerisce un’emozione ieratica e mistica, lo spazio inferiore offre invece un interessante e suggestivo campionario sociale di uomini e donne del Cinquecento siciliano.
Dopo l’attribuzione del dipinto a Sofonisba Anguissola, la lettura iconografica dell’opera appare adesso più agevole, e lo stesso manto della Madonna sembra svelarci misteri rimasti tali per secoli. A questo punto dobbiamo porci degli interrogativi. Perché Sofonisba dipinse questo quadro, e chi sono i numerosi personaggi raffigurati? Probabilmente la grande tela fu dipinta da Sofonisba su richiesta di qualche componente del clero paternese per essere posta sopra l’altare maggiore della chiesa della Raccomandata, ma l’autrice non poté completare il dipinto poiché a seguito della morte del marito don Fabrizio Moncada, decise di lasciare Paternò.
Questo tassello biografico della pittrice si inserisce nel più ampio e complesso vissuto delle sue vicende umane e artistiche, e si può accostare cronologicamente agli anni dell’esecuzione della “Madonna dell’Itria”. Nel dettaglio, i personaggi raffigurati in primissimo piano dovrebbero essere Filippo II re di Spagna e di Sicilia con la caratteristica barba rossiccia (a destra) e papa Gregorio XIII (a sinistra) anch’egli barbuto, si tratta delle maggiori autorità, civile e religiosa, regnanti in Europa all’epoca dell’esecuzione del dipinto, i loro simboli identificativi sono rispettivamente la corona e la tiara poste ai loro piedi.
Ma l’artista riserva le maggiori sorprese nelle altre figure poste a destra dell’osservatore, dove raffigura probabilmente i componenti della famiglia Moncada, all’epoca Signori di Paternò, e addirittura se stessa in posa devota, riconoscibile dalla fisionomia e dall’acconciatura dei capelli castano chiaro; ella si è posta accanto al re (che conobbe personalmente), mentre alla sua destra potrebbero identificarsi la cognata donna Aloisia De Luna e il marito, un pallido Fabrizio Moncada, questa parte del dipinto appare di straordinario interesse storico.
Se di lei si tratta non siamo di fronte ai suoi celebri e spesso superbi autoritratti, qui infatti Sofonisba ritrae se stessa quasi nascosta: nobile tra i nobili, devota tra i devoti, umile in mezzo a una moltitudine di ritratti in miniatura di eccezionale impatto psicologico ed emotivo. Una seconda ipotesi di identificazione potrebbe, invece, invertire l’identità dei due personaggi maschili; ovvero, la figura con la barba chiara potrebbe identificarsi con don Fabrizio Moncada, mentre l’uomo pallido, vestito di nero e con gorgiera bianca, potrebbe essere Filippo II.
Come spesso accade per le nuove attribuzioni di dipinti di artisti di fama mondiale, quella di quest’opera sortirà forse clamore, e probabilmente farà discutere i critici d’arte del settore. Tutto ciò sarebbe fisiologico, ma l’attribuzione se ben veicolata potrebbe portare importanti benefici, contribuendo a un positivo ritorno di immagine non solo per Paternò ma per l’intero territorio catanese e la Sicilia.
Al riguardo siamo concordi con quanto dichiarato dal prevosto don Salvatore Patanè: «La riscoperta di quest’opera costituisce un valore aggiunto di notevole importanza al già ricco patrimonio artistico e storico di Paternò. Adesso per la “Madonna del Riparo” e per la “Madonna dell’Itria” è auspicabile un restauro, azione che come Chiesa stiamo già portando avanti. La presenza di ben due opere di Sofonisba a Paternò è un fatto rilevante, un motivo di orgoglio ma anche di responsabilità, un’occasione eccezionale per la crescita culturale ma anche turistica per la città».
Qui sembra quasi coniarsi un virtuoso gioco di parole: usare le immagini per un ritorno di immagine, un circolo virtuoso certamente da favorire e in cui inserire per il futuro prossimo ambiziosi progetti di sviluppo culturale.