Opinione comune è che l’unica patrona di Paternò sia Santa Barbara, ma è vero solo in parte, dato che essa è affiancata da un compatrono, San Vincenzo
L’agiografia sui santi patroni di Paternò sembra essersi da tempo cristallizzata sul dualismo tra i Santi Vincenzo diacono, martire di Saragozza del IV secolo, e Barbara, martire di Nicomedia del III-IV secolo. Di conseguenza l’approfondimento di studi sull’argomento ha spesso prodotto conoscenze parziali, o indotto all’errore fedeli e religiosi. Un’analisi storica più approfondita che miri ad allargare il campo d’indagine, ci fornisce invece dati interessanti utili a scardinare vecchie convinzioni.
Cominciamo con l’opinione comune che l’unica patrona di Paternò sia Santa Barbara. Ciò è vero solo in parte, dato che essa è affiancata da un compatrono, il suddetto San Vincenzo. Per la vergine di Nicomedia sappiamo dai documenti (tra cui la “Giuliana” della chiesa di Santa Barbara) che fu proclamata patrona nel 1576 a furor di popolo, dopo che le venne attribuito un miracolo legato a un evento epidemico. Tale “promozione” per la Santa significò un declassamento per San Vincenzo, degradato a compatrono, un titolo però mai abolito. Sulla origine del culto di San Vincenzo e sulla sua proclamazione a principale patrono della città si sa però poco. Attingendo alla tradizione, poiché mancano documenti attendibili, tale culto sarebbe stato imposto dai Moncada, signori di Paternò ma invisi ai paternesi per la loro protervia, e precisamente da Guglielmo Raimondo Moncada che nel XV secolo acquisto Paternò. Coerentemente lo stesso culto di San Vincenzo di Saragozza lo troviamo ad Adrano, dove feudatari furono gli stessi Moncada. Di riflesso, la stessa avversione covata verso i Moncada sembra essersi riversata sullo stesso San Vincenzo, attorno al quale nacquero sinistre leggende.
Una di esse racconta di eventi nefasti, quali litigi tra i fedeli e i portatori, speso ubriachi (i muratori che tenevano il culto) e duelli sanguinosi durante la festa e la processione del simulacro. Comunque fosse i paternesi colsero l’occasione della peste del 1576 per “sbarazzarsi” di questo santo, un santo spagnolo imposto dagli spagnoli Moncada. Col tempo il suo culto scemò gradualmente fino a esaurirsi del tutto nella seconda metà del Novecento. Del culto del santo ci restano il simulacro ligneo otto-novecentesco, una bella pala d’altare collocata nella chiesa Madre e il bel braccio-reliquiario cinquecentesco in argento e oro contenente una reliquia. Di certo si sa che il culto del santo di Saragozza si svolgeva nella chiesa di S. Maria dell’Alto, e che i Moncada esigevano dal Senato cittadino tasse per la festa e la cura dell’Oratorio, motivo che non attirò certo le simpatie dei paternesi verso il nobile Casatao.
Fin qui si tratta per lo più di storia risaputa. Ma nel corso della sua storia Paternò ebbe contemporaneamente diversi santi patroni o protettori, alcuni dei quali documentati. Ad esempio, esiste un interessante scritto l’Orazione Panegirica, edita a Catania dal Rossio nel 1637, in cui il suo autore Don Giuseppe Benfatto scrive: “…all’ora quando la Città di Paternò elegge’ e dichiarò per suo patrono il Padre San Domenico…”. Tale passo è di notevole importanza, e ci fornisce la risposta ad una frase scritta nella cornice del dipinto del 1633 raffigurante lo stesso San Domenico, e conservato nella chiesa del Rosario: Me protegente ne metuas, cioè “con la mia protezione non temere”.
Quindi anche San Domenico sembra essere stato patrono di Paternò, forse dichiarato tale dagli stessi Padri Domenicani che vivevano nell’annesso convento. Non solo, ma in risposta al culto del diacono Vincenzo, successivamente, i Domenicani proclamarono un altro patrono per la città, ovvero il domenicano San Vincenzo Ferreri. Vi fu un breve periodo di rivalità tra i devoti dei due Vincenzo, ma essa durò poco, poiché la peste del 1576 e l’esplosione del culto per Santa Barbara col suo patronato del 1578 eclissò tutti gli altri.
Anche in altri dipinti di carattere religioso si riportano frasi riferentisi al patrocinio, Come nel Martirio di Santa Lucia del 1799, collocato nella chiesa dell’ex Monastero. Sulla cornice di questa pala d’altare leggiamo vos semper custodiam ovvero “vi custodirò sempre”; forse anche per Santa Lucia vi fu – da parte delle monache Benedettine che ne curavano il culto e la devozione – un tentativo di promuovere a patrona della città la martire siracusana. A tale riguardo ricordiamo che durante l’eruzione del 1669 Paternò custodì le reliquie di Santa Lucia provenienti da Belpasso; all’epoca Belpasso si era da poco emancipata da Paternò, divenendo dopo molte richieste Comune autonomo (1631),
Altra storia riguarda invece il culto di Maria Bambina (di cui esiste ancora un dipinto a olio su tela), per alcuni studiosi anch’essa sarebbe stata patrona di Paternò, ma forse fu solo la patrona del Capitolo collegiale della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Alto. Sarebbe invece interessante uno studio più approfondito sul quadro di Santa Maria dell’Alto, una Madonna nera tardo medievale venerata presso la chiesa Madre. Secondo lo storico monsignor Savasta essa sarebbe stata patrona di Paternò, addirittura la prima in ordine di tempo. Su tale ipotesi, però, non esistono ad oggi prove documentarie; d’altronde il culto per la Madonna nera, titolare della Matrice, non indicava direttamente il suo patrocinio sulla città. Va detto che il culto della Madonna nera si affermò con l’arrivo dei Normanni, mentre la devozione a Maria Bambina potrebbe risalire all’epoca bizantina, dato che il cultoebbe origine nella chiesa d’Oriente e si diffuse successivamente in Occidente.
Da questo contesto emerge quindi una situazione religiosa dinamica ma anche confusa, un misto di reale e leggendario che, seppure in forma più o meno pacata, non deve avere reso Paternò esente da una “guerra di santi”, per dirla con Verga. Una “guerra” mite, visto che non risultano documentate delle accese competizioni da parte del clero ordinario, degli ordini religiosi e delle confraternite col fine di ottenere il primato per un ordine religioso o una chiesa col suo quartiere.
Ma come si spiega l’affollamento dei santi patroni? Tale fenomeno non deve stupire, poiché era tipico dei secoli passati. Anche Paternò, come altre città (pensiamo a Palermo e Catania) ebbe più di un santo tutelare: autentici protettori da invocare all’occorrenza, scelti per acclamazione popolare o – come già detto – per tentativi e imposizioni da parte del clero. Infatti, specialmente nel primo millennio del Cristianesimo, l’acclamazione di un santo poteva essere fatta anche da istituzioni civili o perfino dal popolo (vox populi), e capitava sovente di dichiarare santi personaggi di dubbia moralità o, addirittura, di pura invenzione, da qui la tradizione faceva il resto, rafforzando culti e devozione e aggiungendo elementi di pura fantasia.
Per fare luce sull’intricato problema, ci fornirci la giusta chiave di lettura un Decreto papale col quale si cercò di mettere ordine ai molti abusi. Si tratta del Decretum super electione sanctorum in patronos del 23 marzo 1630, di papa Urbano VIII, col quale si cercò di mettere ordine al problema dei santi protettori. Innanzitutto, in base al Decreto, le dichiarazioni di patronato dovevano avvenire obbligatoriamente con l’approvazione pontificia e dopo un lungo e attento iter. Tra l’altro si esortava di ridurre il numero dei santi patroni, anche per snellire l’affollato Calendario liturgico. Dopodiché si introdusse la distinzione tra patroni principali e secondari, ma capitava spesso che i santi principali fossero più di uno. Pensiamo a Palermo che contò contemporaneamente ben quattro sante patrone: Agata, Oliva, Ninfa e Cristina, subito declassate e dimenticate con la proclamazione di Santa Rosalia con la fine della peste del 1624. Il decreto di Urbano VIII restò in vigore fino al 19 marzo del 1973, quando Paolo VI semplificò le procedura di elezione, pur conservando i principi del decreto secentesco. Egli richiamò le istruzioni del De calendariis particularibus del 1961 e del Calendaria particularia del 1970, invitando le Chiese locali a scegliere un solo santo patrono. Lo stesso Paolo VI andò ancora oltre col Motu proprio Mysterii Paschalis del 1969 quando, riformando il Calendario Romano, cancellò o limitò al culto locale numerosi santi sulla cui vita – e perfino sull’esistenza storica – si nutrono seri dubbi. Sorte che, tra tanti altri, toccò a santi del calibro di San Giorgio, Santa Margherita d’Antiochia, Santa Caterina d’Alessandria e perfino a Santa Barbara, “vittime” illustri di una riforma che mirò soprattutto a riequilibrarne il culto e la devozione.