L’ansia di sapere chi è il contagiato, post Facebook dell’unico positivo covid-19: «Gli amici invece di fare una telefonata o mandare un messaggio, hanno preferito diffondere tramite Whatsapp foto di me con mia moglie al mare»
Se tra il 1450 e il 1750, in pieno periodo di Riforma protestante, Controriforma post Concilio di Trento e Guerra dei trent’anni la principale pratica diffusa in Europa era quella della “caccia alle streghe”, l’evolutissima popolazione mondiale del 2020 – o quantomeno quella italiana – sarà certamente ricordate nella storia per la serrata e quanto mai inappropriata “caccia all’untore” da Coronavirus. “Chi è l’infetto?”, “abbiamo il diritto di saperlo!”, “il Sindaco deve dirci di chi si tratta”, “ma perché non scrivete il nome nell’articolo?”.
Sono solamente alcuni dei commenti del popolo dei social che hanno spesso costellato gli articoli giornalistici che davano notizia di persone positive al Coronavirus. E come se non bastasse, a fare da padroni sulle principali chat di messaggistica, come un tam tam dovuto ritenuto positivo per la comunità in cui si vive, necessario per il bene comune, sono anche le foto l’indirizzo e spesso anche gli audio di chi ha avuto la sfortuna di beccarsi il Sars-Cov2, come se la colpa fosse sua.
Oggi tutto diventa spettacolo, tutto diventa notizia, anche ciò che notizia non è e non deve esserlo per rispetto di una privacy perduta da tempo – quando si tratta di persone a noi lontane – ma acclamata e pretesa a gran voce quando si tratta di situazioni che ci colpiscono in prima persona. Dopo il caso di positività registratosi ieri a Santa Maria di Licodia, è stato lo stesso paziente positivo al tampone tonsillare a pubblicare un post su Facebook che racchiude perfettamente, anche con tratti ironici, i sentimenti di chi è costretto a subire questa “disumanità 3.0”.
«OHH CHE “BELLO” siamo diventati famosi. Si, è vero che sono io il caso “positivo asintomatico Covid-19, e non vedo dov’è il PROBLEMA, evidentemente sono una persona che lavora, faccio sacrifici per la mia famiglia e purtroppo è capitato anche a me. “Di quest’acqua non ne bevo” non lo possiamo dire, può capitare a chiunque. Ringrazio l’assessore Gabriele Gurgone, il sindaco Totò Mastroianni, i veri amici che mi hanno cercato privatamente dandomi un supporto, una parola di conforto e trasmettendomi tranquillità e amore, e ringrazio gli amici “E VADDATI” che invece di fare una telefonata o mandare un messaggio, hanno preferito diffondere tramite Whatsapp foto di me con mia moglie al mare (POTEVATE SCEGLIERE UNA FOTO PIÙ CARINA)e hanno diffuso nome e indirizzo (vi mancava il C. F.?). Per chi non lo sapesse, questo è un reato. Io con la coscienza sono a posto, e non siamo una famiglia di sprovveduti, anzi siamo fin troppo precisi. Vi ringrazio tutti, ora come avete diffuso la mia foto rubata dal mio profilo, con il mio indirizzo, DIFFONDETE la mia parola. Con affetto *******”.
Ma è possibile ancora oggi “credere negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani” cantata da Mengoni? O forse, l’umanità intera ha perso ancora una volta l’occasione di “essere umana”? E se in tanti sostengono che da questa esperienza ne usciremo cambiati – come se il cambiamento dovesse venire solo dal “‘n’ friccico ner core” generato dai canti intonati dai balconi – nessun segnale degno di nota sembrerebbe apparire all’orizzonte dal fronte “umanità”. E ancora una volta, piuttosto che tacere, saremo qui a “tessere la pallida tela delle nostre ore” aspettando il prossimo caso positivo al Coronavirus per scrivere con maggiore veemenza: “Chi è l’infetto?”, “abbiamo il diritto di saperlo!”, “il Sindaco deve dirci di chi si tratta”, “ma perché non scrivete il nome nell’articolo?”. Non lo scriviamo perché non si può, né per legge, né per dignità. Capito?