Tra i maggiori architetti italiani di fine Ottocento e inizi Novecento, operò con ingegno nella provincia di Catania, dove lasciò numerose opere che meritano di essere riscoperte
Nella piazza principale di Biancavilla svetta da oltre un secolo la torre campanaria della basilica di Santa Maria dell’Elemosina. Il campanile, assurto ormai da tempo a simbolo della cittadina etnea, fa superbamente bella mostra di sé coi suoi 50 metri, ricco di decorazioni e fregi, balaustre e statue, cornicioni, archi e volute, il tutto culminante nella cuspide a cupolino ricoperta da maioliche gialle e verdi, poggiante sulla cella campanaria e sormontato da una grande croce in ferro. Chiunque, passando da piazza Roma nota il campanile che spicca non solo per le sue dimensioni (è il più alto della provincia di Catania) e la articolata decorazione, ma anche perché si distacca dallo stile architettonico del contesto urbanistico che lo accoglie. Sanno un po’ tutti che a fine Ottocento a progettare il campanile e la facciata del tempio fu l’architetto Carlo Sada; nella stessa Biancavilla l’autore realizzò, sempre nello stesso stile eclettico, anche l’elegante e slanciata facciata della piccola chiesa del Rosario (che prospetta sulla stessa piazza Roma), anch’essa con cupolino maiolicato, con belle statue di angeli e della Vergine, e il prospetto della chiesa dell’Annunziata.
Ma chi fu esattamente Carlo Sada? In realtà della sua vita non si sa molto, i suoi dati biografici sono scarni e confusi tanto che la sua figura e le sue opere restano ancora oggi, forse immeritatamente, ai margini della storiografia dell’architettura italiana. Nato a Milano nel 1849 in vita fu molto celebrato, ma dopo la morte avvenuta nel 1924 lentamente, ma inesorabilmente, il suo nome cominciò a essere quasi dimenticato, ciò a dispetto di ciò che aveva lasciato: numerose edifici di sua firma e oltre 1500 disegni, questi ultimi conservati nella Biblioteca Recupero-Ursino di Catania. Paradossi della vita e della morte questi, che giocano con un nome che può essere innalzato alla gloria o precipitato nell’oblio. Ma la storia, si sa, può essere capricciosa e riservare sorprese, così da riportare alla luce uomini, fatti e cose altrimenti dimenticati; potrebbe essere il caso di Carlo Sada, il cui linguaggio stilistico può ancora comunicare emozioni al distratto e superficiale uomo contemporaneo.

Come dicevamo Carlo Sada nacque a Milano nel 1849, l’Enciclopedia Treccani lo dà come figlio dell’omonimo architetto Carlo Sada di Bellagio (1809-1873) che lavorò in Piemonte e Liguria, dove realizzò importanti opere neoclassiche e neogotiche. Per altri studiosi fu invece figlio di un falegname, il quale studiò e si formò presso l’Accademia di Brera e l’Accademia di Santa Lucia di Roma, dove acquisì il titolo di architetto. Intanto, nella primavera del 1874 giunse a Catania, quando ancora venticinquenne a condurlo con sé fu il suo maestro Andrea Scala, chiamato a Catania per realizzare un importante teatro, quello che oggi è il Massimo Vincenzo Bellini. La progettazione e realizzazione del teatro, inizialmente denominato “Nuovaluce” (così si chiamava all’epoca piazza Bellini) fu per i catanesi lunga, complessa e controversa. Voluto inizialmente dalla ricca borghesia del capoluogo etneo, il progetto passò nelle mani del Comune il quale affidò il difficile compito ad Andrea Scala. I lavori andarono avanti a ritmi regolari, e proprio Carlo Sada diede al teatro Massimo l’aspetto che ancora oggi lo caratterizza. Nel suo stile eclettico, quasi neobarocco con forti richiami sansoviniani, il complesso teatrale appare ingegnosamente incastonato tra gli edifici che lo circondano, e prospetta elegantemente malgrado la sua magniloquenza sull’ampia piazza antistante.
Era il 31 maggio del 1890 quando esso venne inaugurato in pompa magna con la rappresentazione di “Norma”. Alla storica inaugurazione del teatro è legato un aneddoto: si racconta che l’architetto, dal carattere schivo e insofferente a celebrazioni nei suoi confronti, si presentò a teatro elegantemente vestito ma sommessamente. Un inserviente all’ingresso gli chiese chi fosse, ed egli con umiltà rispose semplicemente: “Carlo Sada”. Sembra che il rozzo impiegato, non riconoscendolo, gli abbia risposto “lei non è nella lista degli invitati, su voli trasiri si issi a fari u bigliettu!” L’architetto, mortificato, si rivolse quindi direttamente alle autorità le quali risolsero l’increscioso accaduto con tante scuse. Superato lo spiacevole equivoco l’inaugurazione decretò per Sada un autentico trionfo, nonché l’inizio di una lunga e intensa attività nella Sicilia orientale e particolarmente nella provincia di Catania, città dove resterà per tutta la sua vita.

Era l’epoca defeliciana, quando in una Catania in pieno fervore economico ed edilizio, e nella sua provincia, la ricca borghesia emergente, parte dell’aristocrazia e gli enti pubblici ed ecclesiastici commissionavano palazzi, ville, chiese e cappelle. Nel giro di pochi anni Carlo Sada divenne così il punto di riferimento di una ricca e ambiziosa committenza che amava il bello. La progettazione di palazzi privati e pubblici, chiese e ville caratterizzò quindi il lavoro dell’architetto a cui ambivano in tanti per potere fare sfoggio sociale di una sua opera. Sada mise radici a Catania, dove progettò e coordinò infaticabilmente i lavori nei suoi numerosi cantieri, divenendo l’architetto alla moda, il più ambito della Catania dell’epoca e uno dei protagonisti della cultura architettonica siciliana. Anche dopo la sua affermazione fu un lavoratore attento e puntiglioso, dirigeva personalmente i suoi lavori e lasciava alle maestranze poco margine di autonomia.
L’architettura del Sada si caratterizzava per uno stile che vedeva l’innesto di diverse culture, e che trovò in Sicilia un luogo di incontro e sperimentazione. Uno stile eclettico, quindi, che univa diversi stili quali il neoclassico e il barocco. Per alcuni critici si tratta di una mirabile sintesi di elementi, per altri di un sincretismo che incrocia stili architettonici eterogenei carichi di un eccesso di decorazioni. A ben vedere le opere del Sada possono essere osservate attraverso entrambe le prospettive, e apparire avulse dalla tradizione architettonica siciliana, quasi uno stile concepito altrove e qui piantato, come scrive in un suo saggio Massimiliano Savorra “del tutto estranea a memorie di tradizioni e identità siciliane, l’opera di Sada ambisce a collocarsi – come i suoi committenti – in un panorama nazionale”. E, in effetti, si tratta di un linguaggio formale il quale, più che “siciliano”, può definirsi nazionale o sovranazionale e che caratterizzò l’eclettismo europeo di fine Otto e inizi Novecento. Ma questo stile nuovo e bizzarro per la “classica” e “barocca” Sicilia delineò una felice stagione per il proliferare di opere: un ulteriore arricchimento artistico per l’Isola, se è vero come è vero, che la Sicilia nella sua storia plurisecolare ha saputo accogliere e fare suoi stili artistici importati e poi rielaborati. Un parallelismo può essere fatto con lo stile Liberty che si impose felicemente durante la Belle Epoque dei Florio nella “normanna” Palermo.

Sada partecipò a numerosi concorsi nazionali e internazionali, e col suo eclettismo si inserì nell’ampio contesto culturale isolano in cui operarono Ernesto Basile e Giuseppe Damiani Almeyda, Ritornando a Catania, Carlo Sada oltre il teatro Massimo realizzò l’imponente e “rosso” Palazzo Pancari Ferreri (di cui disegno anche gli arredi interni), costruito tra il 1881 e il 1900 all’incrocio tra via Etnea e via Umberto e visibile a destra del monumento a Garibaldi; e ancora Palazzo Nicotra e quello del conte del Grado. Oltre ville e villini ancora esistenti o successivamente demoliti, l’architetto realizzò l’ex Clinica Clementi costruita tra il 1902 e il 1904 e che prospetta su piazza Santa Maria di Gesù, la già demolita Villa Morosoli, detta anche “Villa svizzera” per il suo stile vagamente alpino, la Gioielleria Agatino Russo e figli danneggiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, e le cappelle gentilizie delle famiglie Alessi del 1884, Spampinato del 1900 e Tomaselli del 1905. Queste Cappelle, costruite nel Cimitero monumentale di Catania, costituiscono dei piccoli (per dimensioni) capolavori d’arte che riflettono il geniale eclettismo dell’autore, ma anche l’ambizione dei ricchi committenti perfino per la loro ultima dimora. Ma Sada costellò con le sue opere il territorio della provincia catanese.


Particolarmente noto è il Palazzo Comunale che sorge nella piazza centrale dell’esagonale Grammichele; anche la chiesa madre di Giarre, dedicata a Sant’Isidoro, vide nella sua facciata l’intervento dell’architetto, anche se i due campanili d’impronta neoclassica rimasero incompiuti, senza cupolini e statue. Nel 1899 progettò a Caltagirone il villino – mai realizzato – per il conte Michele Gravina, in compenso per la stessa famiglia realizzò nel 1911 una cappella funeraria. Una bizzarra ma suggestiva opera di Sada dallo stile moresco fu la Torre Alessi, edificata sul finire degli anni ’80 dell’Ottocento. Essa, coi suoi quasi 50 metri di altezza e la scala elicoidale che si sviluppava al suo esterno, aveva l’utile funzione di “guglia” per regolare il flusso d’acqua di una grande cisterna per l’irrigazione del giardino dell’omonima famiglia; svettava nei pressi dell’attuale piazza Lanza, e aveva anche la funzione dilettevole di belvedere per ammirare l’ampio panorama sulla città, l’Etna e il mare (per accedervi si pagava il biglietto); fu tristemente demolita nel 1963 per fare spazio alla moderna edilizia.
Non stiamo qui a elencare tutti i lavori dell’architetto, ma il progetto della facciata della chiesa Madre di Adrano, data la sua tormentata vicenda, merita senz’altro di essere menzionato. Verso il 1897 il prevosto Salvatore Petronio Russo, un sacerdote versatile dal carattere particolarmente volitivo, contattò Carlo Sada per commissionargli la redazione di un progetto per il campanile della chiesa Madre di Maria SS. Assunta di Adrano. Il progetto di Sada, del quale esiste una suggestiva restituzione grafica dell’epoca (un rendering per gli anglofili), sconvolgeva la struttura e la visuale dell’antica chiesa, prevedendo l’occultamento della facciata barocca con l’innesto di una imponente torre campanaria che fungeva anche da prospetto principale. Nel 1899 ebbero inizio i lavori e si costruì il basamento con pilastri e colonne in basalto, dopodiché tutto si fermò per difficoltà economiche o, dicono altri, per contrasti politici. Dopo mezzo secolo, negli anni ’50 del Novecento si tentò di riprendere i lavori del campanile con la realizzazione di una struttura in cemento armato, ne venne fuori un brutto scheletro simile a un traliccio, tanto che nel 1980 il critico d’arte Cesare Brandi definirà la struttura “escremento delle arpie”.

Nel 1957 i lavori si fermarono nuovamente, e questa volta per sempre, fino a quando nel 1997, dopo avere svettato spavaldamente per quarant’anni, il “mostro” in cemento venne finalmente smantellato. Forse fu un bene che la monumentale e massiccia facciata-campanile, dalla pesantezza architettonica di un eclettico barocchismo d’oltralpe, non fu mai completata. Essa con la sua mole avrebbe occultato la sobria ma elegante facciata della chiesa e messo in ombra, sovrastandolo, lo stesso Castello normanno simbolo di Adrano.
Alla luce delle centinaia di progetti non realizzati – tra questi sette per strutture teatrali, tra cui uno per la città di San Giuseppe di Rio Pardo in Brasile (abitata da una folta comunità italiana) e l’incompiuto Palazzo Beneventano di Lentini – probabilmente vi sono edifici del Sada non ancora attribuiti. Al riguardo, secondo l’architetto paternese Antonio Caruso (specializzato nel recupero di edifici storici e monumentali) il campanile della chiesa della Madonna della Guardia a Belpasso potrebbe essere opera di Carlo Sada. Stesso discorso per alcune delle belle ed eleganti cappelle funerarie nel Cimitero monumentale di Paternò, le quali sembrano parlare il linguaggio stilistico dell’architetto milanese.
Sempre a Paternò ritroviamo il nome di Carlo Sada nell’insolito ruolo di progettista di un fercolo religioso. Infatti agli inizi del Novecento realizzo la “vara” della Madonna della Consolazione che si venera nell’omonimo Santuario sulla Collina storica, purtroppo di questo fercolo non rimane più nulla, essendo andato distrutto durante i bombardamenti bellici del 1943. Quello attuale fu realizzato nel 1950 su disegno dell’ingegnere Rosario La Russa, progettista dello stesso nuovo Santuario edificato su quello antico vergognosamente demolito.
Concludendo citiamo Guy De Maupassant, il quale nel diario di viaggio “La Sicile” scrisse: “ La Sicilia è il Paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo… Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che da un’estremità all’altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura”. Il celebre scrittore francese scrisse queste parole nel 1885 dopo avere viaggiato nell’Isola, quando erano ancora lontani gli abusi edilizi della seconda metà del Novecento che hanno deturpato orribilmente città e contrade siciliane, e lontani erano anche gli sgorbi e deformi “scatoloni” senz’anima né bellezza che caratterizza parte dell’architettura contemporanea.
Gli esaltanti quanto intelligenti apprezzamenti dell’autore di “Bel-Ami”, malgrado qualche affermazione possa avere un gusto oleografico, restano ancora un deciso invito a visitare e vedere le meraviglie architettoniche della Sicilia. Per tale ragione anche l’architettura poco celebrata di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento – compresa quella del Sada – merita la nostra ammirazione, poiché frutto della ricerca laboriosa e interiore di una bellezza e armonia fatte pietra capaci, nella loro utilità, di fare godere esteticamente gli occhi e di elevare lo spirito dell’uomo, colto o incolto che sia. In tal senso forse aveva ragione Adolf Loos, uno dei pionieri dell’architettura moderna, il quale scrisse: “la casa deve piacere a tutti, a differenza dell’opera d’arte che non ha bisogno di piacere a nessuno”.