All’ottavo anno consecutivo, Save the Children (creata il 19 maggio 1919 è una delle più grandi Organizzazioni mondiali indipendenti e opera in 125 paesi con una rete di 28 organizzazioni nazionali e una struttura internazionale) ha realizzato e diffuso il rapporto ”Le Equilibriste – La maternità in Italia 2023”, un’indagine dalla quale emerge la necessità in Italia di mettere, quanto prima, politiche concrete e investimenti a favore delle mamme.
IN ITALIA
I dati di Save the Children Italia, indicano che il gap di genere nel mondo del lavoro condiziona la natalità: 1 famiglia su 4 con figli è a rischio povertà e seppure il sentimento di felicità per la maternità sia prevalente nella grandissima maggioranza delle madri, il 43% dichiara di non desiderare altri figli: tra le cause la fatica (40%), difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), mancanza di supporto (26%), scarsità dei servizi (26%).
Si assiste anche a un progressivo rinvio della natalità: le donne in Italia diventano madri sempre più tardi. Confrontando i dati di oggi con quelli del 1995 e del 2010 vediamo che è cresciuta la fecondità nelle età superiori ai 30 anni e che la tendenza al recupero (ovvero le nascite che avvengono ad età più avanzate da parte di chi ha posticipato l’arrivo di figli), si ha solo a partire dai 35 anni. L’età media al parto rispetto al 1995 è di due anni più alta, e oggi raggiunge i 32,4 anni. Nel 2021, inoltre, l’età al primo figlio si è spostata di tre anni rispetto a quanto succedeva nel 1995, posizionandosi ora a 31,6 anni, con età più avanzate specialmente al Centro Italia.
Si rileva pure calo delle nascite anche da madri straniere. I nati da almeno un genitore straniero sono passati da 107.339 nel 2012 a 85.878 nel 2021. I nati da entrambi i genitori stranieri sono passati da 79.894 nel 2012 a 56.926 nel 2021 con i tassi di fecondità calati da 2,18 a 1,87.
Il divario lavorativo tra uomini e donne si va allargando quando ci sono bambini: nel 2022 si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.
Anche le differenze geografiche e titoli di studio fanno la differenza: nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si ferma al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli), e in Italia le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media. Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini); se ci sono figli minorenni la quota sale al 37%, a fronte del 5,3% dei padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto.
IN SICILIA
La Sicilia si piazza al terzo posto in Italia come regione in cui le donne hanno più figli che nella Penisola, ma scivola nella classifica quando si tratta di offrire servizi alle mamme, dal lavoro agli asili nido. L’Isola si colloca (87,7) al 19esimo posto dell’indice generale nella classifica delle regioni più o meno favorevoli alle mamme, seguita dalla Basilicata e (84,3) e dalla Campania (87,7). La provincia autonoma di Bolzano che con (118,8) si posiziona in vetta alla graduatoria. La Sicilia è fra i primi posti soltanto per il numero medio di figli per donna (112,8) preceduta soltanto dalla provincia autonoma di Bolzano che registra (138,5) e da quella di Trento (114,5), rispettivamente al primo e al secondo posto. Per il resto è di tutta evidenza l’emergenza in Sicilia: a cominciare, come da sempre, dal mondo del lavoro dove l’Isola è ultima con soltanto (81). In Sicilia, dunque, per le donne è difficile trovare un’occupazione e soprattutto mantenerlo dopo la nascita di un figlio e non subire riduzioni di orario non volontarie. La Sicilia è anche posta in negativo per i servizi con appena (75,6). Ultima regione per asili nido, mense scolastiche e tempo pieno, tutti servizi ai bambini e quindi indispensabili per una mamma che debba trovare o abbia un lavoro. L’Isola sprofonda ancora più, in diciottesima posizione, se si guarda alla “dimensione della salute” che riguarda la mortalità infantile nel primo anno di vita e il numero dei consultori attivi per abitante. Come anche risulta che le donne sono poco rappresentate negli organi istituzionali e nella politica. Il rapporto indica che la Sicilia con 98,3 non supera la metà della classifica collocandosi all’undicesimo posto. L’Isola è al diciottesimo posto per carenza di centri antiviolenza e case rifugio dove le donne che tro vano il coraggio di denunciare gli abusi. Tutto questo causa una grande insoddisfazione nelle donne che restano in Sicilia a lavorare e a costruire una famiglia. Più indietro c’è solo la Calabria.
IN ITALIA
Ma c’è un altro singolare aspetto non favorevole e che riguarda tutta la Penisola.
Secondo l’Istat: i nuovi nati in Italia nel 2008 erano 577 mila, nel 2022 397 mila (i numeri risultano bassi come ai tempi dell’unità d’Italia); il numero medio di figli per donna nel 2008 era di 1,45, nel 2022 è sceso a 1,24, ciò evidenzierebbe che la denatalità in Italia non può dipendere soltanto dal tasso di fecondità delle donne. E infatti emerge un altro dato significativo, sempre secondo l’Istat: le donne in età tra i 15 e 49 anni nel 2008 erano 13,8 milioni, nel 2022 sono scese a 11,6 milioni: ci sono in Italia, rispetto a 14 anni addietro, due milioni di donne in meno in età riproduttiva.
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